Spezzeremo le Reni alla Grecia?

Come andrà a finire in Grecia, da lunedì 6 luglio 2015? Fin da ora, quello che si può dire è che la campagna referendaria -troppo breve e confusa, per la verità!- sarà fortemente divisiva, dato che il risultato non potrà mai essere un plebiscito a favore dell'una o dell'altra opzione. Ciò che sta accadendo, pertanto, è destinato a creare un forte discrimine politico-ideologico tra le due fazioni in lotta. In caso di vittoria dei sostenitori dell'euro (la prevalenza anche di stretta misura del "Sì", in fondo, significa proprio questo, in quando corrisponderebbe alla volontà popolare "maggioritaria" di voler rimanere nell'area della moneta unica, a costo di lacrime e sangue e di ulteriori sacrifici!) sarà inevitabile un cambio di regime e, verosimilmente, il ricorso a elezioni anticipate, destinate a creare altre fortissime turbolenze sui mercati internazionali.

Viceversa, la vittoria del "No" lascia spazio, paradossalmente, a vie di fuga alternative. La prima, la più semplice, è la versione gattopardesca di far finta di riconoscere la vittoria di Tzipras, per un riallineamento onorevole del debito greco che tutti sanno, da parecchi anni, "insolvibile". Se la Bce fosse prestatore di ultima istanza, per gli altri Paesi membri non vi sarebbero gli attuali problemi di dover appesantire -in un momento così grave di crisi- i propri bilanci con ulteriori prestiti ad Atene, da considerare (per come stanno le cose) a "fondo perduto".

Tra i meccanismi di compromesso potrebbe esserci la temporanea attenuazione dei vincoli di bilancio, per il rilancio documentato della crescita, blindato da clausole capestro, per impedire pratiche di assistenzialismo mimetizzate dietro la corresponsione di falsi incentivi a cittadini e imprese potenzialmente insolventi. È chiaro a tutti che se gli investimenti producessero una crescita stabile e progressiva del Pil nazionale greco, i capitali investiti (dagli Stati!) rientrerebbero con gli interessi, grazie all'aumento significativo degli interscambi infra-europei.

In merito, ritengo che l'Europa, in fondo, dovrebbe riflettere seriamente sull'imperativo mancato dello sviluppo, annientato da un rigorismo monetario e di bilancio che non lascia spazio alcuno a politiche nazionali di sostegno. Del resto, è sufficiente rileggersi l'analisi del Prof. Guarino sul "furto di sovranità", operato surrettiziamente con lo scellerato Regolamento 1466/97 (da cui discende, come perversa conseguenza, il "Fiscal compact"), che fece indebitamente violenza allo spirito dei Trattati europei. Certo, la vittoria del "No", in caso di ulteriore irrigidimento nazionalista di Tzipras (e dei suoi alleati neofascisti di Alba Dorata nel Parlamento) potrebbe condurre il Premier greco e la Germania su fronti opposti.

In questo caso, i "falchi" della Bundesbank si sentirebbero legittimati a forzare la mano del Cancelliere per un default pilotato di Atene, allungando contestualmente i tempi di uscita della Grecia dall'Euro, in modo da far esplodere le contraddizioni interne nel Paese, messo alle strette da una crisi senza precedenti della liquidità e del credito. Comunque vada, a rimetterci seriamente saranno proprio quelle fasce sociali sempre più numerose che non godono di nessun "paracadute" a protezione dei loro redditi. Ma, anche nel peggiore degli scenari possibili, non mi preoccuperei eccessivamente.

La Grecia ha un'economia dell'arcipelago molto diversa dalle grandi aree inurbate, come quelle della capitale, fondata più sulla cultura agricola e della pesca tradizionali che, unite al rilancio di un'accoglienza turistica a basso costo e di crescente qualità, potrebbe costituire una solida rete di protezione contro i prevedibili guai monetari prossimi venturi. A prescindere dalla Grecia, io tifo da sempre per mettere fuori dalla porta il potere degli "Ottimati" e per far decidere i popoli sulle cessioni vere di sovranità!

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:49