Azione penale: obbligatorietà e baggianate

Uno scritto di Guido Vitiello sulla “devozionalità” (grande sua definizione dell’Antimafia) dell’azione penale, mi spinge a ripetere qui a Lui, ma, soprattutto a molti altri che come me e come Lui si definiscono (e sono) “garantisti”, alcune considerazioni che potrebbero valere a dare alle posizioni assunte a questo proposito una concretezza maggiore e ad evitare che, in nome di molti buoni propositi, si finisca per portare acqua al mulino della prevaricazione e dell’arbitrio. L’obbligatorietà dell’azione penale, se non si chiarisce quando dovrebbe venire in essere, può solo rappresentare un pretesto per le litanie della mania di persecuzione di cui si fanno obbligo di apparire prevaricati quelli del “Partito dei Magistrati”. Non esiste “obbligo”, che abbia un senso ed un limite che non sia astratto e, appunto, “devozionale”, che non venga posto come conseguente ad una circostanza, ad un fatto. In altre parole: obbligatorietà quando?

Non è concepibile, neppure per un giuoco o per una professione di fede esoterica che si affermi che l’azione penale è obbligatoria “sempre”. Sarebbe come dire che non è mai vietato di perseguitare una, dieci, mille persone quando il magistrato gli “salta il grillo”. Senza specificazione del “quando”, l’obbligatorietà è un pretesto per coprire ogni malefatta, ogni baggianata o mascalzonata di uno con la toga, o è un mito astratto, oggetto, magari di “devozione” e pretesto di lagnanze contro “eresie” e tendenze abolizioniste. Purtroppo è questa accezione, priva di “motivi” e di regole e, quindi, di senso comune, dell’obbligatorietà quella cui si è pervenuti grazie alla legislazione “democratica” del “fu” nuovo codice.

Mentre il “codice fascista” del 1930 stabiliva l’obbligo del P.M. di esercitare l’azione penale in presenza di determinati fatti e circostanze (denunzie, rapporti, referti, etc.) e “comunque quando (al P.M.) gli pervenga notizia di un reato”, quello “democratico” del 1989, mentre, contro ogni logica, circoscrive l’azione penale e ciò che fa seguito alla richiesta di rinvio a giudizio (così che si può essere schiaffati in galera con giudizi di vario grado sulla custodia cautelare senza che possa dirsi che si sta esercitando l’azione penale, il che è, perlomeno grottesco) stabilisce che il P.M. compie indagini “d’ufficio” (cioè obbligatoriamente) “ai fini dell’esercizio dell’azione penale”. Ciò significa che il P.M. indaga non solo a seguito di notizia di reato, ma per andare a procurarsela”.

Osservare che, però, il cittadino è garantito dal fatto che il P.M. deve indagare “ragionevolmente” e per un fine che è, comunque, quello dell’accertamento di un reato indipendentemente dal fatto che di esso abbia avuto notizia o semplicemente sia stato punto da vaghezza di potersela procurare, è un’autentica sciocchezza, che consiste, al solito, nel confondere la “garanzia” con la bontà delle ragioni oggettive del garantito. Detto questo, affermare che in Italia bisogna abolire l’obbligatorietà dell’azione penale non significa nulla, visto che essa è già così vagamente definita e stabilita da comportare che non si obblighi, in pratica, un bel niente, oppure significa rendere ancora più arbitrario il potere della magistratura (cioè, in Italia, del Partito dei Magistrati) aggiungendo al potere di indagare quando vogliono e per il solo fatto che lo vogliono, il potere di non indagare, di rimanere inerti e magari, di conseguenza, conniventi, di fronte ad ogni evidenza di reato perché così vogliono.

Ed allora, cari amici garantisti o convinti di essere tali, la questione della obbligatorietà dell’azione penale è, se la si voglia considerare nei termini correnti, una falsa questione. D’altra parte siamo i primi a riconoscere che, se astrattamente il principio di legalità “nullum crimen, nulla poena sine praevia lege penali” non è attuato compiutamente, oppure rischia di essere una trappola, senza un effettiva obbligatorietà ed uniformità dell’applicazione della legge, non si può pensare di escludere che tale obbligatorietà diventi la copertura di ogni azione persecutoria e di ogni bestialità di P.M. magari malati di protagonismo, stabilendo per legge la non obbligatorietà ed, anzi, il divieto di compiere baggianate gabellate per esercizio di tale dovere. La questione, ancora una volta, si riduce a quella di impedire che il potere della magistratura, ed in particolare dei P.M., si consolidi come potere di una istituzione debordante dai propri limiti, prevaricatrice e determinata a sopraffare ogni altro potere ed istituzione, rifiutando ogni responsabilità ed ogni effettivo controllo.

Ed ancora una volta, più che cercare di stabilire per legge che chi abusa o fa uso balordo del potere debba invece essere buono e bravo ed usarlo “convenientemente”, bisogna far sì che gli altri poteri, la classe politica, la gente, ragionino ed abbiano il senso dello Stato, e del rispetto delle libere istituzioni che vanno difese ed attuate con uno sforzo quotidiano. E sentano il dovere di opporsi alle prevaricazioni e alle corbellerie. Cosa che non si può stabilire per legge, come l’obbligo per gli stupidi di diventare intelligenti, ma che può diventare la base di una azione e di una forza politica, di una autentica rivoluzione liberale. Certo non è cosa facile e da poco.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:01