Il voto greco è una chance per l’Europa

Ancora una volta la cancelliera tedesca parla a nome di tutta l’Europa, affermando, sul caso greco del referendum in cui i greci hanno votato no alle regole imposte, che “non ci sono i presupposti per le trattative su un altri programmi di aiuti”. Il giorno dopo il referendum greco, è cioè arrivato dalla Germania, a nome di tutti gli europei, lo stop alla Grecia. Anche dal board della Bce sono arrivate parole dure contro la Grecia “per definizione il debito greco alla Bce non può essere ristrutturato perché ciò costituirebbe un finanziamento monetario” e “il taglio del debito per noi non è un tema”. La barzelletta/ministro Yanis Varoufakis, quello che è corso a farsi fotografare di fronte al Partenone con moglie alla faccia della miseria dei greci, si è dimesso dal ministero delle finanze dicendo che si tratti di un “passo indietro per favorire Alexis Tsipras nei negoziati”. Quali negoziati non si sa. Ha ragione Antonio Martino quando dice che ciò che vale per il governo federale americano da oltre due secoli dovrebbe valere per l’Europa, vale a dire che se la Grecia non può onorare i suoi debiti, deve fallire, i titoli diventano carta straccia e coloro che li hanno comprati subiscono una perdita in conto capitale. Si chieda conto a chi ha dato per l’Italia ben 40 miliardi alla Grecia. L’Italia ha adesso perso tutti i soldi che ha dato a favore della Grecia. Da ora in poi, non ne dia altri a nessuno.

La vittoria del no al referendum greco è la chiara sconfitta dell’illegittimo Renzi al governo italiano, mai eletto, schieratosi con il sì e attualmente assiepato sulla Merkel, al contempo snobbato e non considerato dalla stessa, unitamente ad Hollande e questa Europa, la loro. Per comprendere bene quanto vale l’attuale governo italiano, non eletto ed illegittimamente al potere, in questa Europa tedesca oramai disastrata, basta osservare l’agenda dei capi di Stato dell’Ue, in cui Renzi non risulta essere compreso né tantomeno la sua pupilla incompetente Mogherini. La cancelliera tedesca Merkel è infatti corsa a Parigi a parlare con Francois Hollande e a Renzi non è rimasto che aggiornarsi sulle agenzie di stampa sulle decisioni dei due, sbraitando che probabilmente il siffatto “format non funziona” .

È bene ricapitolare da dove viene questa Europa oggi al disastro, cioè da quei regolamenti e patti truffa, con cui è nato l’euro tedesco. Il Trattato di Maastricht ha previsto fin dall’origine la flessibilità per gli Stati in crisi, ma è stato artatamente annacquato con regole e norme mai approvate da alcun Parlamento nazionale. L’imbroglio dell’euro ha favorito solo alcune economie danneggiando tutte le altre. È l’imbroglio del quarto Reich, dato che mentre il Trattato di Maastricht è stato siglato dopo essere passato al vaglio dei Parlamenti nazionali degli Stati membri, i due regolamenti successivi, che costituiscono il patto di stabilità, ne hanno stravolto il contenuto e la ratio, mai sottoposti al vaglio né di alcune assemblea legislativa tantomeno da parte dei cittadini europei.

Nel Trattato di Maastricht è stata inserita, su proposta italiana di Guido Carli, la clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consente agli Stati “di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri”, vale a dire che gli Stati che non rispettano i criteri di Maastricht non sono tenuti a realizzarli attraverso un piano coartato e forzato, ma unicamente adottando politiche virtuose che comportino miglioramenti che siano progressivi. Parametri, cioè, sì, ma con una corposa dose di flessibilità. Nel 1997 il Trattato di Maastricht è tuttavia stato modificato proprio sul punto fondamentale della flessibilità tramite Regolamenti, senza cioè che si sia passati da alcuna loro sottoposizione a Parlamenti o popolo europeo. Con il patto di stabilità in pratica, i Regolamenti sono stati autoproclamati Trattati, mentre al contrario avrebbero potuto solo disciplinare l’applicazione delle disposizioni previste dai Trattati, non potendo assolutamente entrare in contraddizione con tali ultimi. Specificamente i Regolamenti che costituiscono il patto di stabilità, sono i numeri 1466 e 1467 del 1997, entrati poi in vigore a marzo 1998. Tali Regolamenti, non Trattati, hanno introdotto rigidità e rigidi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che hanno tolto in sostanza agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Il patto di stabilità è rimasto in vigore fino al 2011, e già alla fine dell’anno, ne è entrato in vigore un altro, pure rinforzato, il Six Pack, ovvero cinque Regolamenti e una Direttiva aventi gli stessi principi dei due precedenti Regolamenti, e gli stessi rigorosi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori.

Nel 2012 ci è stato rifilato il Fiscal Compact, un altro non Trattato autoproclamatosi tale, il Two Pack, ovvero due ulteriori Regolamenti approvati nel 2013 e, ancora oggi, solo poco prima del referendum greco, è stato redatto il documento cosiddetto dei cinque presidenti, preparato dal presidente della Commissione europea, Jean Claude Juncker, in collaborazione con i presidenti di Consiglio europeo, Eurogruppo e Bce, sulla governance economica dell’Eurozona, e presentato al Consiglio europeo dello 26 giugno 2015. Lo spodestamento e le cessioni di sovranità degli Stati membri avvengono cioè dal 1997 senza alcun tipo di confronto democratico in Europa e senza che esista l’ombra di un’Unione politica dell’Europa. In questo modo questa Europa è arrivata presto al capolinea, ed oggi non va da nessuna parte. L’Italia ha più che mai bisogno di dotarsi velocemente di una rappresentanza eletta democraticamente dal popolo italiano. Non si può andare avanti a governi tanto illegittimi quanto incapaci. Il voto greco non è altro che un tassello, certamente salutare, utile oggi alla futura costruzione dell’Unione politica europea. La storia economica insegna che un’architettura istituzionale mal congegnata non sopravvive. La Bce non ha i poteri propri di una banca centrale, la Commissione europea è di fatto un club di burocrati dementi, il Parlamento europeo è la brutta copia – ove possibile - di quelli nazionali e così via dicendo. Fregarsene dei bisogni dei cittadini europei, ed insistere ad imporre logiche autoritarie da parte dei forti del momento, contro i deboli del momento, è la via dello sfracello anziché quella del rinvenimento di una soluzione possibile in grado di tenere unita l’Europa. Attivare e finanziare investimenti infrastrutturali d’interesse di tutti è la via maestra, e, dato un corpo politico all’Unione con la partecipazione dei soli stati interessati e a oggi contribuenti, fare confluire l’eccesso di debito dei Paesi sottoscrittori in un fondo presso la Bce e da essa finanziato e gestito secondo i tempi di riassorbimento del Paese che ne benefici. La richiesta del pareggio di bilancio diverrebbe in tal modo strumentale. La Germania stessa è stata favorita tempo addietro grazie al Piano Young, sostitutivo del Dawes, con cui il Paese è stato letteralmente risollevato dopo la sconfitta della prima guerra mondiale mettendo fine ad ogni pregiudizio politico. O si pensi ancora al condono parziale del debito estero concesso a favore di molti Paesi, comprese Germania e Italia, nel 1953. La Merkel fa finta di non ricordare, o non l’hanno informata di quanto successo storicamente alla Germania prima che tentasse disastrosamente di costituire il quarto Reich in Europa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:34