Fare da soli, ma farlo

Come su ogni questione di grande rilievo sociale, anche sul fenomeno dei continui arrivi di migranti sul nostro territorio è emersa una forte contrapposizione fra due scuole di pensiero. Da un lato c’è la posizione, forse maggioritaria, di chi non vorrebbe in alcun modo avere a che fare con il problema ed invoca qualche forma di blocco dei flussi. Questa scuola ha vari gradi di veemenza. Si va da chi vorrebbe cannoneggiare i barconi in attesa sulle coste libiche a chi propone la chiusura delle frontiere, anche a costo di derogare dai Trattati internazionali o persino alle “leggi del mare”. Chi la pensa così indica Paesi come l’Inghilterra o la Francia, l’Ungheria o l’Austria come esempi di durezza da imitare. Dall’altra parte c’è invece chi, in varie gradazioni, non ritiene i flussi una catastrofe e sottolinea che, in fondo, gran parte dei migranti desidera solo transitare sul nostro territorio o fa appello alla nostra memoria ricordando il flusso dei 24 milioni di italiani che, dall’Unità in poi, hanno cercato fortuna in altri Paesi, in particolare verso gli Stati Uniti d’America, ma non solo. Inoltre, questa scuola, invoca spesso il dovere di solidarietà umana anche se molti sembrano fare la predica agli altri più che a se stessi. Inutile aggiungere che nessuno, in ambedue le scuole, manca tuttavia di precisare, doverosamente, di “non essere razzista”. Il tutto, infine, sulla base di una diffusa confusione fra migranti che richiedono asilo per motivi politici o riferibili a guerre, altri che migrano per cercare lavoro e benessere, altri che, probabilmente, sono unicamente attirati dal “paradiso europeo”.

A ben vedere, le ragioni della prima scuola e quelle della seconda si annullano a vicenda, nel senso che non propongono alcuna soluzione ma si limitano a descrivere e denunciare una situazione che, del resto, è sotto gli occhi di tutti e che nessuno può affermare di gradire così come è.

Arturo Diaconale ha descritto con efficacia su questo giornale la differenza fra l’attuale migrazione verso l’Italia e quella che, in passato ma ancora oggi, ha caratterizzato vari Paesi occidentali i quali hanno accolto grandi quantità di giovani, provenienti da varie regioni del mondo, ben preparati e la cui integrazione si è dimostrata dunque di grande utilità. Peccato, però, che le migrazioni storiche non si possano prenotare e avvengano così come la Storia le genera richiedendo decisioni politiche allo stesso tempo severe e lungimiranti. Da parte sua Massimo Cacciari, col consueto sussiego intellettuale, ci segnala che siamo di fronte ad un fenomeno epocale, come se nessuno se ne fosse accorto, e che è vano scambiarlo per un’emergenza come qualsiasi altra. In realtà i dati parlano chiaramente e ci dicono che le migrazioni – interne all’Europa ed esterne verso l’Europa – sono in corso da decenni e l’Italia non è affatto ai primi posti come Paese ospite. I flussi attuali dalle coste libiche hanno assunto una configurazione tale da far pensare ad una dinamica molto più grave di quella che è in realtà e numericamente assai inferiore all’immigrazione, con obiettivi di residenza permanente, già avvenuta dai Paesi dell’Est.

Tuttavia, sul fatto che l’Italia dimostri in questa congiuntura una ben scarsa capacità organizzativa e una leadership indecifrabile non ci sono dubbi e, grazie a questo, vari uomini politici e conduttori televisivi stanno letteralmente prosperando. A stupire, semmai, è la cultura complessiva della nostra società, teoricamente governata dal solidarismo cattolico e tanto sdegnosa nei riguardi delle società e dei Paesi di più marcata tradizione individualistica definiti come regni dell’egoismo e dell’insensibilità sociale ma che, negli ultimi decenni, hanno accolto e spesso ben integrato milioni di immigrati. Immagino, e spero, che vari enti caritatevoli legati alla Chiesa si stiano dando da fare, ma per aiutare gli sforzi, peraltro maldestri, dello Stato italiano e delle popolazioni investite dagli aspetti che inducono i maggiori timori, non sempre ingiustificati, ci vorrebbe ben altro. E non mi riferisco solo alla necessità che il Papa faccia sentire la sua voce anche su questo tema, negli stessi termini misericordiosi che il prossimo, costoso Giubileo intende ribadire, ma anche ad aspetti più pratici. Ad esempio, sarebbe significativo che alle caserme dismesse, che lo Stato potrebbe mettere a disposizione dei migranti, il Vaticano aggiungesse la sua notevole quantità di edifici non più attivi o poco utilizzati in tutto il Paese. Su quelli è pressoché sicuro che l’Imu non graverebbe.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:19