Riforme strutturali e chiacchiere elettorali

Mi sto sempre più convincendo che la sparata estiva sul taglio delle tasse serva al premier Renzi solo a prendere tempo, nella speranza che arrivi la tanto auspicata ripresa economica. Una ripresa economica la quale, malgrado l’ostentato ottimismo espresso ai quattro venti dal Presidente del Consiglio, a questo punto sembra l’unico elemento in grado di impedire un suo rapido declino politico. Egli, infatti, non può essere tanto sprovveduto da pensare di ricavare in tre anni i 50 miliardi di coperture rimasticando di continuo, così come sta facendo in questi giorni il nuovo capo della “spending review”, Yoram Gutgeld, l’idea balzana di risparmiare sulle garze e i cerotti della sanità. Di fronte al colossale problema sistemico di una spesa pubblica che supera oramai il 55 per cento del Pil, e che per questo costituisce un colossale monolite di interessi diffusi in modo capillare nel Paese, ci vorrebbe ben altro che il solito e molto sterile programma basato sulla cosiddetta riduzione degli sprechi. Sprechi che, per la cronaca, rappresentano redditi e privilegi per una moltitudine di individui, i quali su tutto ciò hanno costruito un’intera esistenza. Ed è proprio per questo, all’interno di una democrazia incancrenita che conta sempre più sul voto di chi vive di Stato e di tasse, che risulta impossibile intaccarli senza rischiare gravi contraccolpi sul piano del consenso.

Ora, dato che il genio della lampada che occupa Palazzo Chigi mostra di tenere più di ogni altra cosa al suo tasso di popolarità, mi sembra assai improbabile, ancorché tecnicamente quasi impossibile per qualunque Esecutivo, che egli voglia passare al setaccio il colabrodo di una sanità regionalizzata, istituendo una sorta di soviet supremo degli acquisti, mettendo così in crisi l’enorme indotto di poltrone e posti di lavoro che codesto settore pubblico determina. In realtà, come mi trovo a scrivere di continuo, l’unico modo per alleggerire nel complesso i costi di un sistema pubblico che spende 830 miliardi all’anno, è quello che passa per una lenta e graduale diminuzione delle prestazioni coercitivamente offerte dallo Stato. Dunque non il cosiddetto Governo migliore proposto dal socialismo alla fiorentina di Matteo Renzi, bensì un Governo che persegua con coraggio una linea liberale, che in Italia non si è mai vista, la quale riduca i compiti e, conseguentemente, le pretese della mano pubblica.

Tutto questo mi induce a credere che le chiacchiere sul poderoso taglio delle tasse resteranno tali. Così come chiacchiere continueranno ad essere quelle relative alla presunta razionalizzazione della spesa pubblica. Una spending review oramai entrata nell’immaginario collettivo al pari degli alieni, degli omini verdi, delle scie chimiche, del mostro di Loch Ness e di altre entità sulla cui esistenza milioni di ingenui e di sprovveduti sono pronti a scommettere.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29