L’alba dei neopartiti del “ci piace Boschi”

Al Senato sta nascendo il decimo gruppo parlamentare. Quattro derivano quasi del tutto direttamente da Forza Italia: Nuovo Centrodestra-Udc, il meridionalista Gal, “Conservatori e Riformisti” di Raffaele Fitto e la nuova “Alleanza Liberale Popolare e Autonomie” di Denis Verdini.

L’entrata dei nuovi 11 o 13 verdiniani ha prosciugato Gal, ridotta alla decina nella solitudine di Mario Mauro, e già azzannato i Conservatori e Riformisti cui ha sottratto 2 nomi sui 12 di partenza. I senatori forzisti si ritrovano in 43, ancora secondo gruppo di Palazzo Madama, tallonati dai 36 rispettivi sia di Ncd-Udc che del Movimento 5 Stelle. Stanno poi per fare capolino le 3 senatrici Patrizia Bisinella, Raffaela Bellot e Emanuela Munerato del nuovo partito di Flavio Tosi, “Fare”, in attesa dell’arrivo dell’“Italia Unica” di Corrado Passera. Anche Antonio Martino e Giuseppe Moles si preparano a costituire la liberale “Rivolta l’Italia”. Attorno all’eredità forzista, la contesa è tra sigle nuove, mai viste dall’elettore, o confuse nel gioco di coalizione. Game cui si è adattato lo stesso Silvio Berlusconi che in pochi mesi ha ideato almeno tre nuove formazioni: “Partito Repubblicano”, “Altra Italia”, “Casa delle speranze”, chiamando improbabili 20 saggi a decidere per la migliore. Partiti e nomi ben più noti si nascondono sotto dizioni anonime, come il Psi nel gruppo autonomie, oppure come Sel e “Italia dei Valori” nel gruppo misto ed i Verdi nel Gal.

Ironia della sorte vuole che l’ex movimento di Antonio Di Pietro rinasca da due senatori ex grillini. Il fato scherza con nomi noti, membri del Governo presente e del passato come Benedetto Della Vedova e Sandro Bondi, ed anche notissimi come l’ex premier Mario Monti, tutti costretti a convivere con fedeli di Alexis Tsipras e comunisti vari. Paradossalmente Giulio Tremonti vivacchia nel gruppo dell’ex Lega Sud, che ha da sempre due sostenitori del Governo. Pier Ferdinando Casini, deve ostentare amicizia ad antichi contendenti dell’eredità dello scudo crociato come Renato Schifani e Roberto Formigoni. Il senatore Giovanni Mauro, nei suoi spostamenti, mantiene una rappresentanza parlamentare alle “Vittime della giustizia e del fisco” di Diaconale. Se optasse per il neogruppo verdiniano, farebbe anche delle vittime dei nuovi sostenitori renziani. In realtà la maggioranza dei 161 voti di Palazzo Madama resta in bilico. Non tanto per la possibile fuoriuscita dei 3 senatori civatiani dal Pd o per un senatore Ncd agli arresti domiciliari, quanto per quei 25 democratici che pretendono un Senato elettivo bloccando di fatto la riforma istituzionale. Forza Italia, che era, all’indomani del voto ormai lontano di due anni fa, un gruppo consistente in grado di sostenere i 113 del Pd si è sbriciolata, divisa tra sostenitori (50 verdiniani-alfaniani) o meno (60 fittianforzisti) del Governo.

Anche solo partendo da poco più del centinaio dei fedeli (88) e dei socialisti delle Autonomie (19), Renzi conta alla fine di farcela tra i voti insperati di eletti a destra e l’incapacità congenita dei senatori Pd di andare contro un Governo a guida del loro segretario di partito. Il quadro odierno, desolante e farneticante, richiama in mente la stagione non lontana del promesso cambiamento, in nome delle primarie, del trio Meloni, Fitto e Tosi (con l’aggiunta di Guio Crosetto). Massimo Corsaro ha accusato i Fratelli d'Italia di subalternità alla Lega e ne è fuoriuscito per i fittiani. L’intesa di quei giovani riformatori è saltata alla prima difficoltà. Crosetto si è perso per strada, Tosi è stato abbandonato, Fitto ha fatto il suo corpo a corpo nella doppia scissione forzista. In nessuno di questi casi, il tema principe, esaltato come pietra filosofale, delle primarie ha avuto il minimo significato. Anzi, la giovane destra che l’aveva rincorso quando la sinistra lo voleva imporre come regola generale, si è trovata isolata, dopo che il sistema delle prelezioni di partito ha condotto il Pd a divisioni clamorose, sconfitte plateali e inattese. Il vertice della fu sinistra passo dopo passo sdogana il programma di Governo della destra, aggiungendovi ulteriori, inusitate asprezze reazionarie. La destra vede sbriciolarsi in mano le idee mutuate dal concorrente. E si sfarina in mille formazioni che potrebbero chiamarsi tutte “Ci piace Boschi”, con le varianti di chi la preferisce fine, fitta o fasciata stretta stretta.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:25