Sindaci da... fumare

Ricordate la canzone “Dove sta Zazà?”. “Fumata”, cioè sparita all’improvviso, nel pieno dei festeggiamenti di San Gennaro? Ecco, anch’io ho sperato a lungo che qualcuno si “fumasse” sindaci come Ignazio Marino, Giuliano Pisapia, Luigi De Magistris ed altri che nessuno di noi andrebbe mai più a cercare una volta spariti dalla circolazione. Non parliamo poi dell’inadeguatezza del governatore Rosario Crocetta, pur crocefisso mediaticamente da un’intercettazione fantasma. Osservo da un decennio che quella maledetta legge - cosiddetta “Segni” - sull’elezione diretta di sindaci e “governatori” regionali non permette al cittadino di difendersi, mandando a casa anticipatamente gli amministratori incapaci. Per i politici, gli elettori si arrangino e aspettino il loro turno, ogni quattro/cinque anni.

C’è un rimedio a cotanta ingiustizia? In fondo, il sindaco di Roma chi l’ha candidato? Falsi iscritti a decine di sezioni del Pd; parte della destra per fare dispetto allo stesso Pd e vari extracomunitari, non si sa bene a che titolo visto che non risultano iscritti alle liste elettorali. Allora, vi propongo miei cari concittadini disastrati e frustrati una regoletta aurea per tornare a comandare noi “dal basso” licenziando in presa diretta i politici incapaci. Basterebbe far approvare la seguente modifica alla legge elettorale per l’elezione diretta dei sindaci (ma anche dei governatori!) in cui si dice che “qualora si dia luogo a una petizione popolare di sfiducia del sindaco/governatore, che raccolga un numero di firme pari al 50 per cento + 1 dei voti validi espressi nell’ultima elezione comunale, il Governo in carica provvede senza indugio allo scioglimento del consiglio e alla nomina di un commissario, convocando nuove elezioni”. Un’arma atomica per mandare a casa, in brevissimo tempo, quei personaggi alla Forrest Gump (definizione del New York Times - edizione del 23 luglio 2015 - del sindaco di Roma) come Marino, Crocetta, Pisapia, ecc. che non saprebbero amministrare nemmeno un piccolo condominio urbano, perché incapaci o, peggio, collusi con le mafie locali!

Altra questione rovente: il ruolo dei prefetti nello Stato delle autonomie. Un fardello storico di cui liberarsi, o la chiave giusta per rimettere a posto le gestioni dei servizi pubblici essenziali? Dice la legge che “I prefetti sono i rappresentanti dello Stato sul territorio”. Quindi, per definizione, dovrebbero essere (come lo Stato) super partes. Invece, non solo rappresentano la casta di funzionari più politicizzati (le loro carriere dipendono “esclusivamente” dai parrinati politico-amministrativi, a prescindere da qualsivoglia merito!) ma, oltretutto, costituiscono l’immagine parlante del disastro politico-amministrativo dell’attuale organizzazione statuale italiana. Guai a opporsi, a prendere decisioni autonome rispetto al volere di chi comanda al Viminale o a Palazzo Chigi, pena la defenestrazione e la sostituzione immediata. Non importa come si chiami il prefetto del capoluogo di provincia, perché tanto non avrà mai né i poteri, né l’autonomia decisionale per far trionfare la legalità e sconfiggere la corruzione. Quindi, finché le “carte” sono tutte a posto, i prefetti stanno in una botte di ferro. Le decisioni sono tutte demandate alla politica-politicante. Non c’è nessuna differenza tra questo Stato e l’organizzazione feudale dell’Alto Medioevo con le sue articolazioni in re, signorotti, valvassori, valvassini, plebe.

Anche qui: servono o no questi fedeli servitori dello Stato? No, se debbono essere solo un’autorità per l’ordine e la sicurezza pubblica e poco altro che riguarda la gestione delle emergenze. Ma se, invece, immaginassimo di reinventare il loro ruolo per ridurre alla ragione i costi spaventosi delle burocrazie locali e delle malagestioni nei servizi pubblici essenziali, allora la musica sarebbe del tutto diversa! Senza la fissazione di standard nazionali, come si fa a dire se i burocrati di una certa Regione, o di un determinato Ente locale, sono pochi o troppi, se lavorano bene o male? Sempre su questo punto: esiste una giustizia amministrativa (Tar), alla quale può fare ricorso il cittadino per impugnare atti e provvedimenti amministrativi, adottati da pubblici poteri. Ma qual è l’autorità che può porre rimedio alle disfunzioni ed alla disorganizzazione della Pubblica amministrazione?

Chi, tanto per capirci, ha il polso nazionale delle diverse situazioni organizzative e può, quindi, a ragion veduta imporre ad un ente inefficiente un modello di gestione corretta e comportamenti organizzativi virtuosi? Occorre, giustamente, ripensare al ruolo dei prefetti. Finché c’era la Gpa (Giunta provinciale amministrativa, che controllava tutti gli atti dei Comuni), il costo del controllo era ridotto al minimo e, mi pare, l’Italia fosse quella del miracolo economico. Poi, con l’avvento delle Regioni e dei Co.re.go, tutto è cambiato, assolutamente in peggio, come ogni cittadino di una certa età potrà facilmente riscontrare. In definitiva, che fare? Affinché i nuovi prefetti siano effettivamente “super partes” e perfettamente autonomi nelle loro decisioni, occorre assegnare loro funzioni paramagistratuali, dotandoli della stessa autonomia e dei sistemi di reclutamento che caratterizzano i magistrati amministrativi, facendone dei “General Controller” dell’organizzazione amministrativa periferica e dei veri supervisori di “tutto” il pubblico impiego locale. Anche perché, peggio di così si muore!

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:52