L’Italia in ostaggio del  “popolo del non fare”

Nell’Italia dei Renzi e dei Marino è ormai incolmabile il divario (e la conflittualità) tra il “popolo del fare” e la cosiddetta classe dirigente di governo (politici, alta burocrazia, dirigenti di banche, enti locali). Una conflittualità incrementata dal sommarsi di nuove e sempre più stringenti normative europee, accresciuto fabbisogno dello Stato che genera pressione fiscale, intransigenza delle forze di polizia verso commerci e laboratori artigianali col fiatone per rispettare le leggi. Così succede che il popolo perda la pazienza reagendo violentemente con i “servitori dello Stato”, ed ecco che scatta la solidarietà acefala (pardon, acritica) di politici ed alta burocrazia verso i “tutori dell’ordine” e la pubblica condanna del “popolo del fare”.

E non c’è santo giorno che non passi senza nuove accuse al “popolo del fare”, tacciato di essere la “linea di confine col crimine”, l’emblema di un Belpaese che “non rispetta le normative europee”, la prova provata che “l’impresa italiana svetta nelle classifiche europee per evasione fiscale”... Una fiumana d’accuse a senso unico, e con la complicità dei media, sempre pronti a raccogliere le accuse contro l’impresa.

L’ultima boutade è stata trasmessa due giorni fa a reti unificate (come si usa in dittatura): la conferenza stampa all’Expo del giudice Caselli e dei ministri Orlando (Giustizia) e Martina (Agricoltura), in cui si asseriva che i caseifici sono la prima lavatrice per i soldi di mafie e malaffare in genere. Insomma, sostengono i vari Soloni, che il malavitoso per ripulire i soldi sporchi li reinvestirebbe in fabbriche di mozzarelle. Mozzarella connection? Francamente ci sembra si sia lanciata un’ombra sull’intero comparto caseario, che già sta vivendo un periodo non facile, ed anche per colpa delle non proprio benevole normative europee, le stesse che vorrebbero fuori dal mercato Ue più del 40 per cento dei caseificatori italiani. Il “popolo del fare” ascolta e guarda, ma non ha voce: forse pensa che “fare le mozzarelle è un lavoro al limite col fare mafia?”. E forse sarà colpa anche di noi italiani, tutti collusi con la “mozzarella connection”, sempre pronti a consumare latticini, ricotte, provole e provoline. “Mi piace la ricotta ma nun faz o’ricuttare” recitava uno storico brano degli Squallor.

Intanto ormai il sospetto serpeggia e prende forma lungo la bisettrice Napoli-Caserta-Bari si sarebbero incrementate le indagini delle Fiamme gialle sui titolari di caseifici, ormai sotto la lente d’ingrandimento come sospetti gestori di “lavatrici”. Qualcuno di ste’ sinistre è pure intervenuto sul tema, paragonando i caseifici alla catene di lavanderie (lavatrici a gettone) della Grande Mela in mano a Cosa Nostra. Il dubbio sorge spontaneo, non è che nell’Italia salutista i caseifici hanno preso il posto di sale biliardo e slot machine? Tutto può essere. Intanto la stampa forcaiola si scatena e, sulla scia dei controlli incrociati, ci racconta delle mirabolanti automobili che acquisterebbero quelli che producono mozzarelle. Ecco che al “popolo del fare” si contrappone il moralismo francescano di chi predica il “non fare”, la “decrescita felice”. Altra domanda d’obbligo: ma se non si possono più fare mozzarelle, aprire carrozzerie, gestire spiagge... con quali redditi si potranno pagare le tasse per fare lo stipendio ai vertici dello Stato (al “popolo del non fare”)?

In questo gran casotto il signor Matteo Renzi non sa che pesci prendere, in cuor suo è col “popolo del fare” ma per evitare rogne deve schierarsi con quelli del “non fare”. Del resto dopo il caso Ilva la linea è più che chiara: la politica (pardon, il Governo) ha riaperto l’acciaieria tarantina e di risposta la magistratura ha iscritto nel registro degli indagati anche gli operai che si sono presentati all’altoforno.

Il paradigma del “non fare” tocca vette inusitate a Roma, rammentiamo che il sindaco Ignazio Marino si era insediato sostenendo che “da oggi l’edilizia non sarà più la prima impresa della Capitale”. Peccato che nella Citta Eterna il mattone sia stato la prima fonte di lavoro sin dai tempi di Traiano. Marino le ha fatto cambiare volto in nome della decrescita felice, sostenendo che alla riduzione di trasporto pubblico necessiti rispondere spostandoci tutti con la bici, felice che oggi le mense di Caritas e Sant’Egidio abbiano preso il posto dei rinomati ristoranti. Questi ultimi tacciati, al pari dei caseifici, di essere lavatrici della mala. Ecco che chi mangia in Caritas assurge a sant’uomo, diversamente il Diavolo mangia al ristorante in compagnia della mafia. Qualche invasato di pubblica morale ha persino paragonato Marino a San Francesco: affidereste mai la gestione di una qualsivoglia azienda ad un pauperista francescano? Nel frattempo nella Roma di Marino hanno chiuso i battenti il 50 per cento delle attività commerciali ed il 30 per cento di quelle artigianali.

A dar manforte alla ventata di velleitario moralismo ci si mettono anche quelli del “Movimento Cinque Palle” (pardon, Cinque Stelle), che in ogni bottega vedono una probabile lavanderia, in ogni impresa edile la mano del cementificatore, in ogni officina d’auto e camion l’inquinatore. Velleità, ipocrisia e malafede mettono insieme una torma di matti, sulla falsariga di chi dice di aver visto la Madonna o parlato con Gesù, tutti convinti che “il Governo dovrebbe ispirarsi alle parole di Papa Francesco”. Sostengono che l’accoglienza sia un dovere sociale, e sotto sotto ci campano sopra, lavorando a trasformare l’impresa alberghiera e turistica italiana in una sorta di ostello mondiale. Così Francia, Croazia, Austria e Svizzera prendono le loro contromisure, presidiando con una cinta militar-sanitaria la frontiera italiana, onde evitare che vadano a puttane le stagioni turistiche di Costa Azzurra, Alpi e litorale dalmato.

La febbre del “non fare” non molla il Belpaese nemmeno col Solleone. Le normali famiglie raggiungono i litorali adriatici, jonici e siciliani, costatando che sono stati preceduti sulle spiagge da una fiumana di organizzazioni del “volontariato attivo”: stanno lì in trepida attesa, attendono con gioia francescana il “grande esodo”, il “grande sbarco”, “l’abbraccio di fratellanza col Sud del mondo”. Le famiglie normali protestano, s’incazzano, e i prefetti le invitano ad una civile convivenza con chi sbarca. La ciliegina sulla torta l’ha messa il prefetto di Roma, Franco Gabrielli, chiedendo pubblicamente che la magistratura commini pene esemplari ai residenti di Casale San Nicola, rei di aver protestato contro il centro d’accoglienza. Ecco che la politica coglie la palla al balzo, di buona lena sta armando una legge che inasprisca le pene per gli italiani che si mobilitano contro soggiorni ed accoglienza. Tutto torna, anche il sommo poeta era in dubbio se l’Italia fosse un ostello o un bordello, certo in quest’Europa è solo una “donna di provincie”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:37