Sull’Universalità   dei Diritti Umani

La Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (Lidu) ha partecipato alla seconda conferenza internazionale dal titolo “L’Universalità dei Diritti Umani per la transizione verso lo stato di diritto e l’affermazione del diritto alla conoscenza”, tenutasi il 27 luglio scorso a Roma, presso il Senato della Repubblica.

Organizzata dal Partito Radicale insieme a “Non c’è pace Senza Giustizia” e “Nessuno tocchi Caino”, con il patrocinio del ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale italiana, la conferenza ha avuto come obiettivo quello di essere un punto di partenza per l’affermazione del diritto umano alla conoscenza in sede delle Nazioni Unite, promuovendo la transizione verso lo stato di diritto sia in Europa sia nel mondo arabo-musulmano. A tal proposito, concordiamo con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel ritenere assolutamente meritoria l’iniziativa promossa dal Partito Radicale e dagli altri organizzatori: come affermato dal nostro capo dello Stato nel messaggio augurale inviato al coordinatore del progetto, Matteo Angioli, la conoscenza ed il relativo diritto rappresentano un tema emergente nella nostra epoca, che merita attenzione a livello dello stesso sistema delle Nazioni Unite; soprattutto in un’epoca in cui l’informazione è sempre più veloce e in apparenza senza confini. La conferenza è stata articolata in tre parti principali, le quali hanno affrontato rispettivamente: l’universalità dei diritti umani minacciata da tendenze antidemocratiche, populiste e nazionaliste; la promozione di una transizione verso lo stato di diritto democratico, federalista e laico; la campagna globale per l’affermazione e il riconoscimento del diritto alla conoscenza.

Nel corso della prima parte della conferenza, nella quale sono intervenuti Abdullah An-Na’im, professore alla Emory University; Marou Amadou, ministro della Giustizia del Niger; Furio Colombo, giornalista e scrittore, già deputato, Bakhtiar Amin, già ministro per i Diritti Umani dell’Iraq; Marco Beltrandi, esponente della direzione di Radicali Italiani, già deputato; Sir Graham Watson, presidente Alde Party del Regno Unito; si è evidenziato come in relazione alla questione dei diritti umani giochi un ruolo fondamentale il “contesto”. Sotto questo profilo, è emerso chiaramente come tra le cause del mancato rispetto dei diritti umani vi sia la debolezza degli Stati, in cui uno Stato forte è una democrazia che agisce in conformità alla carta costituzionale che si è data, capace di tutelare i diritti fondamentali della persona. Inoltre, nella mancata protezione dei diritti umani giocano un ruolo importante la corruzione e una società civile poco attiva ed informata. Di qui l’importanza di giungere alla codificazione del diritto alla conoscenza. Qui si inserisce l’iniziativa radicale che, parafrasando le parole del giornalista Furio Colombo, costituisce una vera e propria “campagna di liberazione volta a fare in modo che i singoli cittadini si sentano protagonisti della vita politica e reclamino diritti che sono propri”. Come evidenziato da Bakhthiar Amin, già ministro per i Diritti Umani nel post Saddam Hussein in Iraq, il Medio Oriente sente sempre maggior bisogno di democrazia e rispetto dei diritti umani. Da qui è sorto un vivace dibattito con l’ambasciatore turco in Italia, Aydin Adnan Sezgin in cui Amin ha accusato la Turchia di aver regredito sul piano della difesa dei diritti umani, attaccando la minoranza curda, fra le più attive nella lotta alle forze oscurantiste dello Stato islamico. Quindi, Amin ha sottolineato come la conoscenza rappresenti anche il miglior rimedio alle minacce internazionali emergenti ma anche a tutti quei movimenti quali il nazionalismo, il populismo ed il dogmatismo che, insieme alla cattiva gestione delle diversità etniche, culturali e religiose, costituiscono i peggiori mali all’intera Regione mediorientale, dal momento che impediscono a quest’ultima di progredire verso lo sviluppo. La necessità di scongiurare tendenze populistiche in atto è stata affermata anche dal presidente di quella sorta di partito radicale britannico, quale è l’Alde Party, Sir Watson, il quale ha anche evidenziato l’importanza di sostenere una battaglia per il diritto alla conoscenza come base per comprendere e, dunque, affrontare adeguatamente i fenomeni attuali.

Del resto, siamo assolutamente concordi con il sottosegretario agli Affari Esteri, Benedetto Della Vedova, il cui intervento ha inaugurato la seconda sessione di lavoro della conferenza, nel giudicare i diritti umani un cantiere aperto nel quale nessun paese, nemmeno quello più democratico e liberale, può dirsi arrivato. In particolare, quando si parla di diritti della persona umana non si può mai far riferimento ad un traguardo ma bensì ad un percorso che non necessariamente rappresenta una linea retta continua. In questo contesto, parafrasando le parole di Giulio Terzi, già ministro degli Affari Esteri italiano, “il diritto alla conoscenza, declinato quale esercizio del diritto-dovere d’informazione, principio della trasparenza decisionale, assunzione di responsabilità dei governanti nei confronti della società civile e un’informazione realmente libera ed indipendente, rappresenta un elemento centrale dei processi democratici e dell’affermazione dello Stato di diritto in senso compiuto”. La seconda sessione della conferenza è stata caratterizzata dalla descrizione dei complessi processi di transizione verso lo Stato democratico dei paesi del Maghreb: Tunisia, Algeria e Marocco. In particolare, viene in rilievo l’intervento di Najima Thay Thay Rhozali, già segretaria di Stato e ministro dell’Istruzione del Marocco, la quale ha sottolineato l’importanza della formazione e dell’affermazione del diritto all’educazione come via maestra per affermare il diritto alla conoscenza, senza la quale non si può parlare di democrazia e di diritti. Infine, la terza parte del dibattito si è incentrata sull’evoluzione della campagna globale volta all’affermazione del diritto alla conoscenza.

Una battaglia, come evidenziato dal coordinatore del progetto Matteo Angioli, che è iniziata nel 2002-2003 con il tentativo di scongiurare l’intervento militare in Iraq, deciso da parte degli Stati Uniti e della Gran Bretagna sulla base di informazioni che ancora oggi rimangono elusive e proseguita dal Partito Radicale e dalle altre associazioni costituenti; e prosegue fino ad oggi con la conferenza del 27 luglio in cui si è inteso esplorare la possibilità di definire nel dettaglio la formazione di un vero e proprio diritto alla conoscenza attraverso la promozione di una campagna internazionale per una risoluzione, convenzione protocollo specifico in materia da realizzare in sede delle Nazioni Unite. In questo ambito, come evidenziato da Elisabetta Zamparutti, tesoriera di “Nessuno Tocchi Caino”, innanzitutto il diritto alla conoscenza deve essere concepito come un contenimento del potere dello Stato, in particolare per quanto riguarda il “segreto di Stato”, formula spesso usata dai governanti per celare il perseguimento di interessi particolari spesso in contrasto con quelli propri dell’opinione pubblica. In secondo luogo, il diritto alla conoscenza deve costituire il diritto dei cittadini ad acquisire informazione da parte delle istituzioni pubbliche e ad elaborarle attraverso un confronto improntato al dialogo.

Da parte sua, anche la Lidu si è sempre battuta strenuamente per l’affermazione di un simile diritto all’interno del contesto internazionale: lo dimostra l’ultima iniziativa condotta contro il Partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti (meglio noto con l’acronimo Ttip), un accordo commerciale di libero scambio in corso di negoziato dal 2013 tra l'Unione europea e gli Stati Uniti d'America, le cui trattative rimangono assolutamente nascoste. Sicuramente la codificazione a livello internazionale del diritto alla conoscenza potrebbe aiutare a scongiurare il rischio che vengano approvati trattati, quali il Ttip; che, come abbiamo denunciato agli stessi deputati europei chiamati a pronunciarsi sull’accordo, comporterà una riduzione delle garanzie a tutela dei diritti dei consumatori europei e renderà più difficile ai Governi il controllo dei mercati per massimizzare il benessere collettivo. Inoltre, crediamo fermamente che l’affermazione del diritto all’informazione e alla conoscenza non possa prescindere da un’adeguata formazione ai diritti umani in generale, in cui la Lidu è impegnata da anni attraverso l’implementazione del “Progetto Scuola”.

Tuttavia, se da un lato concordiamo con gli organizzatori della conferenza nel ritenere che molto probabilmente i tempi non siano ancora maturi per l’avvio di un processo di codificazione internazionale del diritto alla conoscenza, dall’altro siamo sicuri che incontri come questo servano proprio a “tracciare il punto nave”, parafrasando le parole di Paolo Reale, intervenuto nel corso della conferenza in qualità di segretario generale dell’Istituto Superiore Internazionale di Scienze Criminali (Isisc), al fine di individuare una nozione condivisa e una base giuridica di tale, senza le quali nessun diritto può aspirare ad essere riconosciuto come diritto umano fondamentale. Solo per questa via sarà possibile favorire un simile percorso per l’affermazione di un diritto, il diritto alla conoscenza, senza il quale non ha senso parlare né di democrazia né di alcun esercizio degli altri diritti umani.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:30