Cacciare Renzi, tornare ad investire

martedì 4 agosto 2015


Si suicidano gli imprenditori, falliscono e chiudono. E non si sa perché, prima di suicidarsi, non vadano a prendere e gridare in faccia all’accattone politico di turno le proprie ragioni. Matteo Renzi, poi, è al governo con l’imbroglio, dunque a maggior ragione merita minacce e grida da parte degli italiani onesti.

L’altro giorno la proprietaria di una piccola impresa artigianale, piangendo disperata per la chiusura del suo negozio, mi chiedeva perché nessuno eliminasse Renzi, perché qualcuno non andasse a farlo fuori, a toglierlo di mezzo, tanto più che - diceva - il 99 per cento delle persone con cui parlava non lo vuole, non lo aveva voluto e, se Napolitano avesse permesso di andare a votare ed a scegliere, non lo avrebbe votato. Renzi è, per mano di Napolitano, la rovina dell’Italia. Napolitano ha distrutto l’Italia arrogandosi il potere di decidere per tutti e imponendoci nell’ordine Monti, fatto senatore a vita e là sta non rinunciando certo ai nostri soldi che riceve ingiustificatamente e immeritevolmente, poi Letta il quale, alle prese con il farabutto Renzi, non ha trovato di meglio da fare che conigliescamente fuggire ad insegnare politica (sic!) ai francesi, e adesso Renzi, colui che, detto non a caso “il bugia”, imbroglia a più non posso tutti, a cominciare dai contributi che ha lucrato furbescamente a nostre spese per finire con il governo rubato con l’imbroglio e contro ogni tipo di democrazia, “grazie” a Napolitano, agli italiani, a noi. Poveri fessi che siamo! Gabbati e scontenti, imbrogliati e poveri, disoccupati, alla miseria. Solo un cretino, anzi tanti cretini, distanti anni luce dalla realtà, potevano confondere, da disperati quali sono all’ultima spiaggia, un imbroglione per uno capace.

Renzi deve cambiare “lavoro”? Perché, quando mai ha lavorato, nel senso vero della parola?Lo si vada a raccontare alla imprenditrice che piange perché chiude quanto ha “lavorato” Renzi, o Monti, o Letta! La povera signora tra le lacrime diceva di vedere più soldi uscire che entrare, per una tassazione tanto implacabile quanto feroce. Io l’ho informata che all’Agenzia delle entrate stanno assumendo, sotto l’egida della nuova erinni, altri mille soggetti destinati a controllarci tutti e meglio. Renzi che non ha mai lavorato un giorno assume un altro migliaio di cani latranti alle costole degli italiani per accanirsi ben bene sui nostri risparmi, sulle nostre case, sui nostri averi. È il trionfo del comunismo e del socialismo reale, della redistribuzione becera che fa degli italiani tutti impiegati dello Stato. È il tripudio di ciò che la storia ha dichiarato manifestamente fallito in ogni angolo della terra. Da noi, in Italia, lo premiamo, regalandogli i governi. Altro che riforme, la sinistra imbroglia per intascare per sé e, se la destra non si darà una regolata al prossimo giro quando cioè si andrà finalmente a votare (prima o poi accadrà) e sarà votata a manbassa, saranno cavoli.

Inutile dire qui che si sarebbe da tempo dovuto, perché necessario, tornare ad investire, che si sarebbe dovuto cioè cambiare verso, rotta, invece che insistere nel continuare ad immettere nella Pubblica amministrazione e nello Stato altra gente stipendiata (da noi). Si sarebbe dovuto, al contrario, tornare ad investire. In Italia come in Europa. Ma cosa volete che vi dica, il primo indispensabile “passaggio” necessario è quello di andare a votare democraticamente, non come adesso che si aspetta che gli imbroglioni diventino onesti. Chi glielo spiega a Napolitano che deve rispondere di ciò che ha fatto e che deve risarcire noi italiani, non bastando neanche tutto quello che ha lucrato in vita sua? Le infrastrutture in Italia fanno schifo e non reggono, perché le manutenzioni sono affidate, per intenderci, a “Mafia Capitale”. C’è una sproporzione enorme ed evidente tra ciò che si destina in investimenti/introiti e fatturato. Il commercio c’è, il guadagno c’è per i mafiosi capitali che sono la base che fornisce consenso e voti ai sinistrorsi del Pd ex Pci, non ci sono per niente gli investimenti. Per cui tutto crolla. Si guardi al Comune di Roma gestito dalle sue aziende fallimentari. Il bilancio comunale supera i sei miliardi di euro annui che vanno tutti in spese correnti, cioè a pagare l’esercito di raccomandati pubblici di “Mafia Capitale” e oltre. In conto capitale non si mette niente o quasi, solo all’Ambiente sono destinati meno di un quinto di ciò che vi si destinava due anni fa. I parchi di Roma fanno pena, per le strade dell’Urbe ci sono più buche che mafiosi capitali, il che è tutto dire.

A forza di inserire tutto un esercito di raccomandati stipendiati da noi, nessuno spazza le strade, sono tutti al bar verso le undici per il cappuccino, e a fine mese a riscuotere il non dovuto. Il rimedio comunque non è controllare che i lavori vengano eseguiti (il più delle volte i “controllori”, anch’essi pubblici, sono peggiori dei controllati), ma cambiare sistema, privatizzare. Pri-va-tiz-za-re. Gli appalti in tutta Italia sono il mare magnum del “magna magna”. Dire che sono irregolari è un eufemismo. Si producono così danni su danni alla nostra economia, di cui siamo spettatori (ahimè!) privilegiati. Danni veri all’economia, al turismo, al lavoro ed all’occupazione.

Il problema non è romano o milanese, palermitano e siciliano, il problema è italiano. Il pubblico non funziona e il privato che sopravvive è troppo regolamentato, e troppo tassato. È così che non c’è crescita nella nostra economia e sulla nostra produttività. Impianti, macchinari, attrezzature, costruzioni pubbliche o private in drammatico calo, crollo del Pil, disoccupazione imperante nonostante euro e petrolio favorevoli, e nonostante l’immissione di liquidità della Bce di Draghi che tiene tutto su ma che è destinata a finire nel 2016 quando avrà sortito peraltro, tra gli altri, l’effetto errato di non avere “scoperto” in tutta la sua vergogna Renzi & Co.

La “soluzione” possibile c’è e ha in sé la cacciata, con risarcimento relativo, dei fantocci imbroglioni. Il mercato europeo non aspetta e con il fantoccio gli stiamo dicendo addio. Al mercato e alla modernità.


di Cesare Alfieri