Girone e Latorre,   non rattristatevi

“Non rattristatevi, signori ufficiali, di fronte al difficile cammino che vi toglie Patria e fede. Non scoraggiatevi, Poruchik (tenente di seconda) Golitsyn, su con gli occhiali e le cartucce. Non chiedetevi perché proprio a noi tocchi di andare in terra straniera”.

Poruchik Golitsyn è il noto personaggio di due canzoni dell’Armata Bianca russa, colto negli ultimi 4 giorni della sconfitta nella guerra civile contro i bolscevichi.

Invece Vladimir Vladimirovich Golitsyn è un giurista russo di stampo sovietico, oggi presidente del Tribunale internazionale per il diritto del mare (Itlos), chiamato a giudicare una volta per tutte (forse) la vertenza italo-indiana sui cinque anni di calvario indiano subìto dai marò Salvatore Girone e Massimiliano Latorre. L’Itlos di Amburgo non è, come si ripete erroneamente, una agenzia Onu, ma il frutto della convenzione sul mare del 1980, i cui Stati aderenti eleggono i giudici, oggi divisi tra 3 americani, 5 asiatici, 5 africani e 7 europei, più l’indiano P. Chandrasekhara Rao. Giudici italiani non ce ne sono ed è meglio così. L’ultimo, fino al 2011, Tullio Treves, sulla linea delle amiche del giaguaro, le ex ministre degli Affari Esteri Emma Bonino e Federica Mogherini, ha contrastato il ricorso al suo Itlos perché “l'India non ne accetta la giurisdizione”. Posizione che lascerebbe Girone e Latorre alla discrezione della giustizia indiana, incapace in 5 anni di emettere un minimo atto di accusa.

Roma, al momento di inviare il suo esperto ad Amburgo, si è guardata bene dal chiamarlo. Il Diritto internazionale non ha carabinieri se non quelli degli interessi dei Paesi meglio armati. Si può firmare la convenzione del mare, nata fuori dall’Onu, e non ratificarla, come hanno fatto gli Usa. Si può preferire, come dice il Pm governativo indiano Narasimha, la convenzione marittima Onu e la relativa Corte permanente di arbitrato dell’Aja, riconoscendo il Tribunale del mare (Itlos) solo per misure provvisorie. Magari tenendovi lo stesso un giudice dentro. Infine, come voleva Treves, si può invocare un tribunale ad hoc ex Convenzione di Montego Bay. Si può fare di tutto, l’importante è avere la forza per farlo. L’India, che rapì Girone e Latorre in acque internazionali e minacciò il sequestro dell’ambasciatore, ce l’ha. Dopo il 10 ed 11 agosto di dibattito processuale ad Amburgo, Golitsyn ha rimandato la sentenza al prossimo 24 agosto, lasciando in tutti il dubbio se questa potrà prevalere sulla forza.

Difficile che l’India, Paese bellicoso e stragista, accetti la sconfitta legale in streaming. Nello scontro delle tesi, il ministro degli Affari Esteri, Paolo Gentiloni, si è affidato ai baronetti sir Daniel Bethlehem e sir Michael Wood, entrambi in odore di Circus e fino a ieri (e ieri l’altro) procuratori del ministro degli Esteri britannico. Il primo è stato definito un “terribile vuoto morale dell’establishment Uk” per filo-interventismo militare; il secondo voleva portare Tony Blair alla sbarra. Come dire, un duo Ghedini-Boccassini, fumo di Londra. E non finisce qui. A difendere gli italiani ci sono anche gli ex Pm indiani Soli Sorabjee e K.T.S. Tulsi. L’80enne Soli, che ha dato il suo nome nel 2005 al comitato per la difesa dei diritti umani, arrivò alla Corte Suprema mentre Indira Gandhi faceva guerra al Pakistan; fu Pm, come il Narasimha di oggi, sotto Rajiv Gandhi che per i missili nucleari subì le sanzioni Usa; infine venne mandato all’Onu, mentre Sonia Gandhi si candidava al posto del marito assassinato tra stragi ed autobombe. Il suo partner, il giurista Tulsi, indagò sull’omicidio del premier Rajiv nell’India del ritiro militare dallo Sri Lanka e difese il figlio adottivo di Sonia Gandhi. Insomma, due gandhiani spiccicati del partito del congresso che purtroppo ha perso di brutto le ultime elezioni presidenziali. Non a caso Sorabjee ha definito il suo governo “degno di retaggio feudale”, mentre Tulsi si rifiutò di rappresentare lo Stato da cui proviene l’attuale presidente Narendra Modi. Con loro l’Italia pagava anche il costoso avvocato Mukul Rohatgi, ma un anno fa Modi l’ha sfilato dal team con la nomina a Procuratore generale. Dall’altra parte Narasimha, per l’India, ha schierato due pezzi da novanta al quadrato, il francese Alain Pellet, che non solo condannò Milosevic ma che è anche membro del vero governo di Internet, l’Icann; e l’americano Rodman Bundy, l’avvocato delle sette sorelle del petrolio.

L’Italia doveva scegliere la via di Amburgo da tempo. Ha meravigliato per il tempo che ci ha messo a decidersi. Aveva già stupito quando in un lampo aveva pagato 290mila euro alle famiglie dei due pescatori del Kerala, della cui morte sono accusati ufficiosamente i nostri fucilieri di Marina. Un pagamento non richiesto, né richiedibile, che suonò stonata ammissione di colpa del Governo Monti. Cui seguirono 800mila euro di cauzione per liberare i nostri dal carcere di Thiruvananthapuram. Dopo essersi fatti la bocca con il primo milione, i legali indiani (Rohatgi, studio Titus & Co. di Nuova Delhi e Harish Salve) ne hanno sfilato a Monti e Letta altri 4,5. Senza neanche risparmiarsi la scena delle dimissioni, fatta da Salve nel 2013, quando Roma voleva trattenere i marò in Italia. Il Viminale ha speso 2 milioni di euro in spese legali, detective e missioni. Ed Amburgo raddoppierà il conto, poiché gli inglesi costano assieme al contorno nostrano dei professori e avvocati Guglielmo Verdirame, Attila Tanzi, Paolo Busco e Ida Caracciolo. L’Italia di destra e di sinistra è usa contrapporre ai sequestri il portafoglio. Venti milioni solo per le ultime volontarie. Va peggio con prelati, militari e fessi non fitting.

Nel caso Girone e Latorre, però, invece dei sequestratori sono stati pagati gli avvocati. Ed è questo il rimprovero sottinteso di Nuova Delhi, che attende solo un lauto compromesso per non perdere la faccia.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29