Lettera in memoria di patrioti e combattenti

Premessa. Da qualche anno, ogni 17 di agosto, Antonio Marasco medita sull’esistenza, sui ricordi. E perché in quel giorno gli vennero a mancare due persone, il padre Francesco Saverio Marasco ed il maestro di vita Francesco Cossiga. Francesco Saverio Marasco era stato il notaio di Giovanni Leone e di tantissime personalità istituzionali. Ma il rapporto d’amicizia con Cossiga prescindeva dai rapporti professionali, anzi toccava le note della fede patriottica, dell’agire politicamente per un’Italia libera, forte ed anti-comunista. Perché la missiva di Antonio Marasco è in memoria di chi ha contribuito alla costruzione della nazione, con riferimenti forti e precisi, reputando il primato della politica indispensabile e non tiranneggiato da altri poteri.

17 agosto. Una data difficile per me da dimenticare. Agosto è sempre stato un mese critico, vuoi per il caldo vuoi per quella mancanza di servizi che è motivo di vanto per un paese retrogrado come il nostro. Ma il 17 agosto per me significa la triste ricorrenza della scomparsa di due figure chiave nella mia vita, mio padre Francesco Saverio e Francesco Cossiga.

Di mio padre mi manca tutto e talvolta, nonostante gli anni, mi sveglio pensando che lui sia ancora in vita. Ma il sogno finisce e rimane il ricordo di un uomo forte con un bagaglio di esperienza e di storia vissuta degno di un romanzo. Decimo figlio di una antica famiglia calabrese, rimasto a 13 anni orfano del padre medico, morto di crepacuore per non aver potuto salvare una sua figlia dalla peritonite, allora mortale. Vissuto con la madre, Ernesta Basile, dei Basile che hanno dato lustro al Sud con opere e arte architettonica. Naturale quindi che il giovane Francesco Saverio fosse accudito dalle sorelle più grandi che, già professoresse, insegnavano a Napoli, allora calamita, crogiolo di cultura e di sapere. Collegio Aragonese, lingue Orientali e così via.

Arriva il Fascismo e, come la gran parte dei giovani di allora, viene ammaliato dalla figura di Mussolini. Quindi naturale entrare nella scuola di ginnastica romana e poi volontario nella guerra di Spagna insieme al generale Calissoni. Nel frattempo Università, due lauree e diverse lingue straniere, preziose con la seconda guerra mondiale alle porte. Da ufficiale entra nei servizi, viene inviato in Africa: catturato dietro le linee nemiche si salva solo grazie a una rocambolesca fuga, ma il nemico era dappertutto e viene ricatturato, salvandosi dalla fucilazione perché creduto un militare qualsiasi e non un agente infiltrato. Viene spedito in India, nel campo Jol alle pendici Tibetane dell’Himalaya, ove pochi anni ora sono è stato ambientato il film “Sette anni in Tibet”, la pellicola s’apre proprio con Bradd Pitt che indica le baracche degli italiani. Il rientro in patria nel 1948, a guerra finita da tempo, gli fa trovare un fratello medaglia d’oro alla memoria come carabiniere e una famiglia, unita si da cultura ed estrazione, ma con i componenti sparsi in varie parti del mondo. Occorre quindi che Francesco Saverio si dia da fare, conosce mia madre Marinella, mi regala la vita che mi vede nascere nel 1949: mio padre mi manca.

Ed ora veniamo all’amico e maestro di vita e politica, Francesco Cossiga: difficile scrivere di uno statista sul quale è stato scritto già tutto. Quindi vi racconto cosa rappresentò per me Francesco. Innanzitutto cordialità e affabilità che non era d’uso avere con tutti. All’epoca ero amministratore di una società del gruppo ADNKronos di Pippo Marra, a cui devo un grazie per avermi dato l’opportunità di imparare e conoscere il mondo dell’ informazione. Pippo aveva lavorato presso lo studio notarile di mio padre, e si dimostrò importante anche quando il figlio di Francesco Cossiga, Giuseppe, divenne mio collega alla guida di un’altra società dell’ADN. Francesco e mio padre si conoscevano, quindi il mio accredito, se così si può definire, fu automatico con il Presidente. Fui onorato quando come “straccione di Valmy”, così definiva Cossiga la pattuglia dei suoi fedeli, mi indicò come consigliere nel Cgie, ovvero il Consiglio generale degli italiani all’estero presso il ministero degli Esteri, ove rimasi anche quando la compagine politica dell’Udr ebbe a dissolversi. Ma questa fu solo una delle esperienze di vita che mi regalò Francesco, e tante ne potrei raccontare: ma lasciamo il resto alla memoria mia e dei tanti amici.

Ricordo che Cossiga mi onorò d’essere ospite nella mia casa in Sardegna. Ho trascorso con lui alcuni capodanno. E mi onorò di poterlo andare a trovare quando sofferente era ricoverato a Varese. Ero al suo funerale, a Sassari, dove pochissimi non familiari erano ammessi, e una folla da stadio era fuori della chiesa. Con onore serbo il suo prezioso sapere, che mi tolse dall’essere un profano, soprattutto della vita politica. Di questi due uomini ricorre l’anniversario della dipartita. Dedico questo mio scritto perché anch’io m’avvio verso la parte finale della vita, con la consapevolezza del mio sapere, della mia forza da gladiatore, dell’esperienza che mi hanno infuso queste due figure.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24