Riforma della giustizia, la grande illusione

Un passo avanti e due, quando non tre, indietro. Alle norme in tema di speciale tenuita' del fatto, fanno immediatamente seguito iniziative in materia di intercettazioni telefoniche, inasprimento delle pene o prolungamento dei termini di prescrizione. La riforma della giustizia e' questo: funziona a corrente alterna e procede a singhiozzo, secondo ritmi cadenzati dallla piu' potente corporazione mai esistita in questo Paese. La riforma della giustizia non e' una questione giuridica, da affrontarsi codici alla mano, come se la tradizione pandettistisca potesse contribuire allo scioglimento dei nodi nei quali siamo da tempo incagliati.

Pensandoci bene, la riforma della giustizia non e' neppure una questione politica, se, per politica, intendiamo la nobile arte che traduce in azioni concrete principi e valori di riferimento. E' questione mediatica e, dunque, di potere. Da quando Orson Welles produsse Citizen Kane (quarto potere, insomma), e' chiaro a tutti che il momdo dell'informazione determina le scelte dei politici e condiziona la pubblica opinione. Guardate, tanto per fare un esempio, quanti tweet scrivono quotidianamente I due Matteo, Renzi e Salvini. Dedicano piu' tempo a comunicare che alle attivita' che dovrebbero assorbirli interamente, perche' quella e' la vera politica. Non c'e' ragione alcuna, dunque, per la quale la riforma della giustizia non dovrebbe transitare sui binari mediatici ed essere oggetto, invece, di dotte discussioni nella sede naturale. E' questa, qui ed ora, la sede naturale di un dibattito articolato in proposte e repliche a distanza, smentite e precisazioni.

La politica saggia il terreno per verificare se una certa scelta sara' gradita, ovvero incontrera' sfavore nel pubblico ed opposizione nel sindacato delle toghe. E' un gioco raffinato e pericoloso nel quale il ruolo di protagonista viene assunto, di volta in volta, dal portavoce di turno, che si identifica in questo o in quell'esponente di corrente o di partito. Il Ministro rilascia interviste, di tanto in tanto, senza sbilanciarsi troppo. E, cosi', la riforma non si fa. Non si puo' fare la riforma, del resto, quando non c'e' intenzione di riformare quelle poche cose che dovrebbero essere cambiate. A volte, qualche illustre giurista ci mette la faccia e dice la sua. Ci ha provato Sabino Cassese, prontamente rintuzzato dal Procuratore della Repubblica di Torino, il quale, tra le righe ma neppure troppo, lo ha accusato di non avere compreso i termini della questione e ha rivendicato i grandi (indiscutibili, aggiungo io, ma inutili ai fini che qui rilevano) meriti della magistratura italiana. Ci sono giorni in cui penso che, in questa materia, valga il detto chi tocca i fili muore, o si fa molto male. La separazione delle carriere non si deve neppure sfiorare, le misure cautelari personali e reali restano quello che sono, le intercettazioni pure. Raramente, arriva qualcuno che, forse preda dell'entusiamo giustizialista, rincara la dose, invocando la soppressione del giudizio di appello.

Tutto questo avviene sui giornali. I disegni di legge all'esame del Parlamento sono modificati in tempo reale in conseguenza della forza del vento che tira. Noi stiamo li', in posizione marginale, rincalzi da usare qualora sia necessario riequilibrare la bilancia. Contiamo poco, come dimostra il fatto che, di noi, nessuno parla. Per esistere devi apparire: la regola e' che l'accesso ai grandi mezzi di comunicazione e' misura della consistenza degli interlocutori. Ecco perche' non capitera' nulla e non ci sara' nessuna vera riforma. I comtendenti si legittimano e si neutralizzano reciprocamente, nella piena consapevolezza che la forza dell'uno e' direttamente proporzionale a quella dell'altro, ma , restando insieme, la bilancia e' in equilibrio, come conviene a tutti.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19