L’Universalismo e Beveridge

Dopo un intervento (apparso sulle colonne de “Il Garantista”) di Gianmarco Pondrano Altavilla (direttore del Centro di studi storici, politici e sociali "Gaetano Salvemini") dedicato ad Ernesto Rossi ed al problema del welfare universale, pubblichiamo un inedito di Giovanni Perazzoli (autore di “Contro la miseria. Viaggio nell'Europa del nuovo welfare”, Laterza 2014) sempre sulla questione welfare (e del reddito minimo garantito, in particolare), nell'ottica di William Beveridge (nella foto). Tale dibattito intente stimolare finalmente un dibattito serio ed informato sulle possibili riforme dell'intervento statale in materia di povertà ed esclusione sociale, al di là delle facili prese di posizioni unilaterali e degli interessi di bottega.

Il welfare moderno nasce nel 1942 con il Report di Beveridge. L’universalismo ne è la chiave e rivoluziona la vecchia impostazione solidaristica, legata alla corporazione ideata dal Cancelliere Bismarck. Il welfare non è più pensato solo in funzione di assistenza, ma nell’ottica dell’assistenza e dell’efficienza complessiva: non un tampone al bisogno, ma uno strumento di lotta alla povertà. Ernesto Rossi fu tra i pochi in Italia che capirono l’importanza del Report. Pur essendo scettico su alcuni punti – in particolare su quello che oggi si chiamerebbe «reddito minimo garantito» o «reddito di cittadinanza» – ne riprese il cardine centrale: l’universalismo, appunto. In generale, i liberali de «Il Mondo» di Mario Pannunzio videro nel welfare un passaggio chiave dell’ideologia progressista occidentale e una delle ragioni della separazione che si era determinata, e che si stava approfondendo, tra l’Italia e il resto dell’Europa.

Il principio dell’universalismo è particolarmente importante in un aspetto, quello più trascurato in Italia: la garanzia di un reddito minimo in caso di disoccupazione (reddito minimo, garantito per una durata uguale alla durata della disoccupazione e condizionato alla ricerca di un lavoro conforme alle qualifiche professionali del disoccupato). Nonostante il fatto che questo istituto abbia percorso, da Beveridge in poi, una lunga storia fatta di alti e bassi, esso resta in Italia avvolto da una nube di incredulità. Si resta sorpresi nello scoprire quanti, anche tra intellettuali e giornalisti di prim’ordine, ne ignorino l’esistenza pluridecennale. In particolare, la distinzione tra reddito e lavoro appare inconcepibile. Una parte della sinistra vede nel reddito minimo garantito un’utopia, un’altra parte, al contrario, vi vede un nemico dei valori della sinistra e un ostacolo alla piena occupazione. In realtà, le forme di tutela universalistica del reddito sono sempre state interne alla logica della piena occupazione, di cui intendono rappresentare addirittura un complemento.

Ma l’universalismo è la vera nota qualificante del welfare del lavoro; la sua assenza riflette bene la lontananza dal pensiero progressista occidentale dell’Italia. Mentre le forme di sussidio italiane restano nel quadro dell’assistenza particolare, nelle altre nazioni europee le forme di tutela universalistica del reddito hanno mostrato una maggiore capacità di incentivo al lavoro. Questo era previsto e voluto dal Report, e scaturisce interamente dall’assunto universalistico. Da Beveridge in poi, le forme di garanzia minima del reddito sono la base del welfare di tutta l’Europa del Nord, incluse Francia, Germania e, naturalmente, Gran Bretagna. La distinzione tra reddito e lavoro ha messo d’accordo sia l’istanza liberale, che vede i pericoli della trasformazione del lavoro in welfare, sia quella socialdemocratica centrata sulla tutela e sulle garanzie del reddito dei lavoratori. L’universalistico permette di mettere meglio insieme redistribuzione ed efficienza. L’incentivo alla creazione di ricchezza, infatti, non c’è né dove vige un’astratta uguaglianza (quella delle «palle da biliardo», per dirla con Benedetto Croce) né dove si ha un’assoluta diseguaglianza. Se tutti hanno «lo stesso», non ci sarà incentivo alla creazione di ricchezza. Le società immobili, o per diseguaglianza o per uguaglianza, non creano ricchezza. L’universalismo del welfare gioca per questo un ruolo chiave nell’intreccio - che non ha una ricetta applicabile in assoluto - della redistribuzione e degli incentivi.

Ma c’è un altro aspetto centrale dell’universalismo: esso ostacola l’utilizzo dei sussidi particolaristici per sostenere le politiche clientelari a caccia di consenso, e che portano ad ingigantire la spesa pubblica. I sussidi discrezionali producono rendite politiche e inquinano, dunque, la rappresentanza democratica, compromettendo il quadro politico complessivo. Questo accade immancabilmente quando i sussidi del welfare sono rimessi alla discrezionalità di un intermediario politico. Al contrario, il welfare cessa di essere assistenzialismo e diventa uno strumento di redistribuzione e di mobilità sociale, quando se ne mantenga l’impianto universalistico. La situazione debitoria dell’Italia come quella della Grecia è rivelatrice della poca virtù degli interventi particolaristici (che mal si fa a chiamare «welfare»), affidati al paternalismo o all'autoritarismo della scelta politica. Nonostante i due paesi - Italia e Grecia - abbiano dei debiti pubblici molto al di sopra della media europea, essi però non hanno un welfare moderno; al contrario, a rigore di termini, non hanno proprio un welfare, almeno per il lavoro. Hanno appunto un sistema particolaristico che paralizza la dinamica economica e sociale. Né Italia né Grecia hanno alcuno strumento universalistico per la disoccupazione. Il primo governo Tsipras, nelle estenuanti trattative con la Troika-non-più-Troika, ha addirittura sdegnosamente rifiutato di essere sostenuto economicamente per introdurre in Grecia una forma di reddito minimo garantito. “Cosa da Paese africano”, avrebbe risposto uno dei ministri. Recentemente Christine Lagarde, direttrice del Fondo Monetario Internazionale, ha sottolineato che, se l’Italia vuole tornare a crescere, deve introdurre, a completamento delle riforme del lavoro, una forma di reddito minimo garantito sul modello nord-europeo.

La trappola della povertà non è causata dal sussidio, ma dal suo particolarismo. Beveridge arrivò a sostenere che ricchi e poveri dovessero avere lo stesso diritto di accesso agli assegni di disoccupazione. Se così non fosse stato – argomentava – si sarebbe incentivata la povertà. Tanto più aumenta il particolarismo, tanto più si stringe la trappola della povertà. Se, in caso di disoccupazione, l’appartenenza a una determinata tipologia di lavoratore permette di usufruire di un sussidio, mentre l'appartenenza ad un’altra tipologia non lo consente, è chiaro che verrà meno l’incentivo a spostarsi da una tipologia all’altra e di trovare un nuovo lavoro. La Cassa integrazione italiana dimostra ampiamente questo aspetto. Il welfare particolaristico incentiva così il lavoro nero, ma tiene il lavoratore attaccato alla corporazione. La difesa del posto di lavoro, piuttosto che del reddito, diventa il puntello della corporazione. Restano fuori dal welfare soprattutto coloro che non rientrano in alcuna corporazione, ovvero proprio quelli che avrebbero più bisogno di una rete, precari, lavoratori atipici, etc. La rete universalistica del welfare ha effetti positivi in termini di crescita economica proprio perché estende il concetto di lavoro. Il particolarismo rispecchia invece un modello di società, e un’idea di lavoro: un’idea conservatrice del lavoro, che definisce che cosa sia il lavoro, in chiave - appunto - particolaristica e corporativa. Ma oggi il lavoro, oltre che declinante in termini quantitativi, si è anche profondamente trasformato, e sempre più si trasformerà in futuro. All'innovazione economica corrisponde un’innovazione del che cos'è il lavoro. Ma la nuova frontiera del lavoro è avvicinabile solo all'interno di un welfare universalista. Senza un’idea universalistica del welfare viene anche disincentivata l’offerta, la produttività. In cambio, prevale la rigidità, e un sistema di rendite, che sono legate a un’idea determinata ed esclusiva del lavoro.

 

(*) Centro Studi Salvemini

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:26