Netflix in arrivo: chiudono tv e giornali?

Fra poco sul nostro personal computer, nonché telefonino e tablet, farà irruzione Netflix con al seguito film, telefilm,serie tv, informazione e chi più ne ha più ne metta. Un bel vedere, si capisce. Tutto on-line. Una bella comodità, senz’altro. Goderci una puntata sul proprio cellulare di “House of cards” è una pacchia. Insomma: un salto in avanti del sistema globale comunicativo in cui la tivù potrebbe rischiare qualcosa. Non solo dagli esperti vengono commenti e previsioni che attengono allo stato dell’apparato complessivo televisivo italiano, anche se pochi si stanno chiedendo se Netflix aiuterà o danneggerà questo sistema, sol che si rifletta sulla comodità implicita del palinsesto on-line. Ai posteri l’ardua sentenza. Anche se nel sia pur tumultuoso sviluppo dei mass media, sia dal passaggio dalla “tipografia-libri” alla televisione il salto è stato enorme suggerendo che quello fra televisione e Netflix non lo sarà da meno. Una questione centrale a un tempo sociale, economica, sociologica, politica. E culturale, soprattutto.

Già, la cultura, la credibilità, la correttezza informativa,la trasparenza, la lealtà. E la verità. Ecco il punto. Molti studiosi si sono posti laicamente di fronte allo sviluppo dei media concordando sull’enormità della crescita dell’apprendimento delle masse nei successivi passaggi dalla tradizione orale al libro e alla tv. Semmai qualcuno si interroga se tale sviluppo, con l’avvento della tv, produca individui intellettualmente più o meno sviluppati. In ogni caso la televisione ha incoraggiato certi usi dell’intelletto, ha favorito certe definizioni di sapienza e di intelligenza, ha creato un mondo nuovo. In altri termini, ha prodotto forme nuovissime per dire la verità, incidendo sulla stessa potenzialità dei libri e dei giornali, i quali sono apparsi sempre più in difficile coesistenza con la televisione. Figuriamoci con Internet e, dal prossimo 22 ottobre, con Netflix. Eppure, la morte della carta stampata annunciata ripetutamente, non si è avverata. Il suo funerale rinviato più e più volte non sembra così alle viste ed anzi, proprio nell’esplosione massificante dei social, molti intravedono un rischio quasi mortale proprio per quella “verità” che fonda la credibilità della informazione dando vita e accompagnando la cronaca e arricchendo la storia. Internet, cioè i social, da Facebook a Twitter passando per Instagram posseggono una potenza inversamente proporzionale alla loro credibilità, risultando spesso uno sfogatoio incontrollato e incontrollabile anche perché non fanno del giornalismo, non hanno alcuna vocazione alla notizia che informa ma soltanto al punto di vista individuale, il più vario, il più colorito, a volte il più volgare possibile. Il controllo della notizia non rientra nella “professione” dei social che, tuttavia, influenzano e influenzeranno sempre più il discorso della tv, la sua comunicazione, la sua narrazione quotidiana, al punto che non poche trasmissioni, a cominciare dai talk-show, costruiscono una storytelling apparentemente dialettica ma in realtà mutuata, dal conduttore e dai condotti, dagli impulsi e dalle frenesie dei social network. E il film Rambo 3, decisamente il più mediocre della serie, li ha battuti. Ma tant’è...

In realtà, talk-show e film non dovrebbero essere assimilabili, sono due realtà che dovrebbero prescindere dagli ascolti, come dicono in molti; il ché sarà anche vero ma non meno vero è che la loro invasione, occupazione, dei teleschermi comincia all’alba e non finisce al tramonto, ma a notte inoltrata, combinando la festa per l’antipolitica - con i politici che vi partecipano ululanti - con la noia dello spettatore e la vittoria, ovvia, di Sylvester Stallone. Quanto alla completezza dell’informazione di tutta, dico tutta, la nostra tv, giornali compresi, basta misurare lo spazio concesso allo scomparso centenario Pietro Ingrao col sottofondo di “Bella ciao” e il silenzio davvero tombale sulla contemporanea morte del 95enne Mauro Ferri, socialdemocratico doc, già segretario di partito, pluriministro della Repubblica e infine presidente della Corte Costituzionale. Altro che i fatti separati dall’opinione, ma i fatti separati, omessi dall’informazione.

Su questo sfondo si agitano i protagonisti dell’ultimo scontro sulla Rai, non soltanto quella Rai Tre che a sentire uno scatenato De Luca, sarebbe “la più grande fabbrica di depressione”, ma sul suo ruolo complessivo dentro il sistema italiano. A proposito del quale si nota una regressione impressionante all’Età della pietra o a quella della tradizione orale coi suoi vuoti di memoria, con argomentazioni che, dietro il manto dell’autonomia dai partiti, la più austera e più rigorosa, si celano i giochi o giochetti di potere, legittimi, beninteso, ma un tantinello ipocriti, per dire. Cosicché, invece di affrontare il futuro che è già cominciato con Internet e Netflix, si ha come l’impressione di assistere all’indimenticabile film di Ermanno Olmi: “Il tempo si è fermato”.

 

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:33