Destra e sinistra: due concetti vuoti

Nella storia del movimento operaio il termine sinistra o destra non ha mai avuto un valore identitario perché l’identità di un partito o di un movimento era dato dai suoi ideali, valori, programmi o ideologia. Erano questi ultimi, i valori fondanti di un movimento che si candidava a risolvere le problematiche dei lavoratori e del Paese. Questi valori forti si scontravano con altri valori forti e il più delle volte venivano mediati dalla realpolitik. Chi si ricorda che nello scontro epocale che prelude la seconda guerra mondiale i fascisti da nemici diventano i compagni in camicia nera per poi ritornare nemici dei comunisti? O i socialisti che diventano socialfascisti quando si oppongono all’Unione Sovietica per poi ridiventare compagni durante il fronte popolare del 1948 alleati con il Pci, e diventare al soldo degli americani quando si alleano con il Psdi per iniziare la stagione del centrosinistra? Questi esempi di ricordi storici servono a comprendere come nel nostro Paese una forte cultura identitaria si configurava o con valori che ne davano il senso di un’appartenenza per i socialisti o con un’ideologia che ugualmente per i comunisti era il senso profondo della loro appartenenza. In Europa ciò che in Italia è chiamato sinistra si chiama socialismo.

Questo fenomeno destra/sinistra in Italia si caratterizza con la nascita del sistema maggioritario, e con la scomparsa dei partiti democratici della Prima Repubblica per via giudiziaria. Ovviamente questo meccanismo supporta un contenitore vuoto di destra/sinistra ed è utile per chi ha perso la propria identità politica e si ricicla con il termine ambiguo di sinistra, e cioè gli ex comunisti, supportati dalla grande stampa in questa operazione di svuotamento culturale. Le idealità e/o le ideologie permettevano un confronto e dunque anche una verifica sui propositi di ciò che si voleva realizzare; oggi dove sta scritto che la sinistra promuove il bene delle persone mentre la destra il male? Marx non parlò mai di sinistra come neanche Lenin, né persone più eminenti come Karl Kautsky, Pierre-Joseph Proudhon, Filippo Turati e così via. In Italia il termine sinistra che normalmente doveva indicare il luogo dove sedevano i parlamentari socialisti, comunisti e altre forze che facevano riferimento al movimento operaio prima e lavoratori oggi, è diventato un concetto ideologico che divide la realtà in un dualismo infantile tra il bene e il male. Concetto infantile perché il termine sinistra è un termine vuoto, non ha valori fondanti, dentro questo termine c’è di tutto dal massimalismo a tenui segni di riformismo, dall’autoritarismo a tenui segni di liberalismo riformista, in qualche modo questo termine si chiama sinistra ma sotto sotto si evoca una visione comunista. Un primo paradosso di questa terminologia è che si fanno scelte politiche che vengono supinamente accettate, che però sono contro l’aspettativa individuale che si ha del concetto di sinistra, da qui il rifugio nel non voto, e nella non protesta in quello che si considera il proprio mondo politico che in qualche modo ha tradito le proprie aspettative.

Si comprende così perché alcune cose giuste che propose Silvio Berlusconi suscitarono proteste oceaniche mentre le stesse oggi proposte da Matteo Renzi determinano mal di pancia ma nessuna protesta. Un altro paradosso di questa falsa rappresentazione della realtà è data dalla politica negli enti locali: illuminare una strada, far funzionare la macchina amministrativa, eliminare il malaffare, sveltire le pratiche, far funzionare trasporti, e raccogliere i rifiuti sono cose di destra o di sinistra? Sono atti amministrativi legati al buon senso, alla razionalità del vivere comune. A livello locale questa dicotomia tra destra e sinistra ha fatto crescere una classe politica vuota senza arte e ne parte, perché per essere eletti si richiedeva da che parte stare (come se si trattasse di una partita di pallone e poi usciti dallo stadio tutto finiva lì), senza la dovuta partecipazione dei cittadini che la democrazia richiederebbe come controllo sugli eletti. Questa dicotomia ha un effetto a cascata sui cittadini determinando comportamenti di demotivazione ed impoverimento culturale. Non è un caso che alcuni movimenti come la Lega e il Movimento 5Stelle (per quanto diversi) siano in crescita, perché nonostante ci sia chi cerca di etichettarli come fascisti, populisti ed estremisti, le loro parole d’ordine affrontano problemi concreti (discutibili quanto si vuole) dei cittadini e non si nascondono nelle vuote appartenenze dicotomiche.

Altro fenomeno interessante è il movimento della Lista Marchini a Roma, esso difficilmente può essere definito populista o massimalista, evita di farsi etichettare all’interno di questo dualismo manicheo destra/sinistra come molti commentatori a contratto dei media vorrebbero incastrare, a puri fini manipolatori, forse a conferma del loro bisogno manicheo di comprendere la realtà. Questo movimento (nonostante il suo localismo) a differenza degli altri si dimostra propositivo e costruttivo, evita la facile demagogia e di fatto rappresenta l’unica alternativa nel ricostruire un senso comune di appartenenza legato ai valori, a cominciare da quello del buon senso e del senso comune di educazione civica. Credo che una stagione di sano civismo (da liste civiche) possa riproporre al Paese un insieme di valori per la ricostruzione di partiti che possono proporre progetti ed ideali per il futuro del Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24