L’Espresso compie sessant’anni

Sessant’anni di giornalismo. D’inchiesta e di denuncia. Di polemiche e qualche scoop non ortodosso. Da Arrigo Benedetti, primo direttore responsabile con il suo “lenzuolo”, all’attuale direttore Luigi Vicinanza un concentrato di battaglie civili, d’inchieste sul Palazzo, di un giornalismo “laico, sfrontato, libero”. Ma anche di parte.

La strada dell’Espresso è costellata di successi e insuccessi, quasi sempre “innervato di passione civile, politica, culturale” grazie alle grandi firme che hanno raccontato i cambiamenti del paese. Eugenio Scalfari, Giampaolo Pansa, Livio Zanetti, Lino Jannuzzi, Vittorio Gorresio, Giancarlo Fusco, Luigi Compagnone, Geno Pampaloni, Alberto Moravia, Manlio Cancogni, Umberto Eco e una bella schiera di direttori che si sono succeduti da Giulio Anselmi a Giovanni Valentini, da Daniela Hamaui a Bruno Manfellotto.

Gli esordi li ha raccontati tante volte Eugenio Scalfari, che poi nel 1976 fondò il quotidiano “la Repubblica”. E l’idea iniziale di Benedetti e Scalfari era quella di varare fin dal 1955 un quotidiano per il quale si rivolsero ad Adriano Olivetti che li indirizzò ad Enrico Mattei, potente presidente dell’Eni, in lotta con le sette sorelle petrolifere e fautore della nascita politica del centrosinistra tra Dc e socialisti.

I circoli degli amici della sinistra radicale e socialista di Milano e di Roma si ritrovarono in mano un settimanale con il quale portare avanti le battaglie politiche e giornalistiche che nel 1973, lasciato il vecchio formato per il nuovo tipo, L’Express francese della gauche del gruppo di Jean-Jacques Servan-Schreiber, vendeva 350mila copie.

Era anche l’epoca delle donne nude in copertina e dell’esplosione della pubblicità da parte di aziende che volevano farsi conoscere, compresa la Fiat, grazie all’interessamento di Lucio Caracciolo, amico della famiglia Agnelli, che fin dal primo numero dell’ottobre del 1955 non fece mancare il suo apporto. La produzione automobilistica aveva bisogno di lanciare la motorizzazione di massa con la 600, la 1100, la 1400 e la 1900 “Granluce”. Per i sessant’anni il settimanale ha regalato ai lettori anche la copia del primo numero che si apriva con la ricostruzione dell’antefatto del viaggio di Pietro Nenni a Mosca ed a Pechino, costituito dalla lettera che la figlia Giuliana portò in Cina a Chou En-lai e dall’incontro del vicesegretario del Psi, Sandro Pertini, in Cecoslovacchia dove nel luogo di villeggiatura di Karlovy Vary incontrò personalità di vertice del Cremlino e stretti collaboratori di Kruscev. Nenni, ottenuti le credenziali dal Viminale e il parere favorevole di Palazzo Chigi, concordò i successivi passi da fare con il Presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi.

Via del Corso a Roma (il Psi nelle elezioni del 1953 aveva ottenuto 75 seggi alla Camera) divenne così il crocevia di importanti aperture delle relazioni diplomatiche internazionali, affrontando anche il problema dell’ammissione dell’Italia all’Onu. Due giorni prima di partire, Nenni ebbe in gran segreto un lungo colloquio a Montecitorio con Palmiro Togliatti, leader del Pci. Ma la distensione era ancora lontana da venire. L’altro grande avvenimento trattato in quel primo numero era l’apertura delle scuole. L’analisi e la riflessione sui problemi del mondo scolastico (evasione dell’obbligo, analfabetismo di ritorno, scarsi laureati) erano affidate al professor Antonio Segni, che poi divenne Presidente della Repubblica.

Sull’operazione banditismo e malavita in Calabria, dopo i blitz delle forze dell’ordine in Aspromonte, il settimanale aveva chiesto una nota allo scrittore Corrado Alvaro. L’economia era materia di Eugenio Scalfari, licenziato dalla Banca nazionale del lavoro di Milano dopo un articolo contro la Federconsorzi del potente presidente della Coldiretti, Paolo Bonomi. Scalfari si sofferma sul convegno monetario di Istanbul al quale partecipavano Ugo La Malfa, Donato Menichella, Ezio Vanoni. Per Scalfari due le decisioni di rilievo: la battuta d’arresto piuttosto brusca sulla via verso la convertibilità delle monete europee e il ritorno di fiducia nella sterlina dopo che si stava riproducendo la drammatica situazione che nel 1949 aveva indotto il Cancelliere dello scacchiere, Stafford Cripps, a svalutare la moneta inglese. Nella stessa pagina si riferisce della crescita dell’economista “silenzioso” e cioè Guido Carli, uno dei sei uomini che controllano la politica monetaria europea. Carli era già uno di quegli italiani che mentre il Paese andava in rovina cercavano di predisporre i mezzi della ricostruzione finanziaria. “Le sue inclinazioni - scriveva il settimanale - potrebbero essere definite di centrosinistra, con forti venature radicali, sebbene la sua cultura sia sostanzialmente liberale”.

La parte culturale era affidata a Sergio Saviane (su Elsa Morante), a Geno Pampaloni che parlava di Corrado Alvaro, a Bruno Zevi sull’architettura, a Lionello Venturi sulle origini dell’arte veneziana. Alberto Moravia recensiva il film “Accadde il 20 luglio” sull’attentato fallito a Hitler nel 1944, Sandro De Feo si occupava dello spettacolo “Rinaldo e Armida” andato in scena al Teatro Valle di Roma. Non mancava lo sport. La riforma del presidente della Federcalcio, Ottorino Barassi, era presa in esame da Manlio Cancogni mentre con una nota di colore veniva tratteggiata la personalità di Nicola Pietrangeli: “un campione a tutti i costi”. Non poteva mancare il gossip. Lo scandalo a via Veneto era affidato alla penna di Giuseppe Patroni Griffi con tutti i risvolti del quadrilatero Hotel Excelsior-Bar Strega-Rosati-edicola di via Boncompagni. Ci sono tutti: registi, attori, assistenti, figuranti speciali, belle donne, compresa la notizia-bomba paradossale che Federico e Gelsomina non si sarebbero separati.

Il “lenzuolo” stampato da Tumminelli a viale dell’Università andò avanti per 8 anni sulle ceneri del Mondo e dell’Europeo. Poi il nuovo formato, un giornale “scomodo, a volte scabroso, spesso controcorrente”, come ricorda Giovanni Valentini. Fiori all’occhiello per la redazione di via Po, le campagne per il divorzio prima e per l’aborto dopo, mentre la direzione di Claudio Rinaldi “fece dell’antiberlusconismo diffuso nel Paese un’arma politica ed editoriale”. Ricorda Giulio Anselmi, “mettemmo in copertina la foto di Berlusconi che sembrava un clown dopo una vittoria elettorale con la didascalia “e ora mi consenta”, per essere aderenti “alla grande famiglia della sinistra ma con autonomia”. D’accordo il condirettore Giampaolo Pansa che aveva lasciato la Repubblica dopo 14 anni?

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19