“Bio” è con noi: crociata contro Ogm

L’Italia ha inviato alla Commissione europea la richiesta di escludere dall’intero territorio nazionale la coltivazione di tutti gli Organismi geneticamente modificati (Ogm), anche se autorizzati a livello europeo. Non è la preoccupazione per la salute dei cittadini a motivare il governo italiano. La paura del “cibo di Frankenstein”, per quanto radicata nell’opinione pubblica, è in realtà già stata superata dagli stessi governi europei, che non possono negare le risultanze della ricerca scientifica. Né davvero il governo italiano potrebbe sostenere che gli Ogm sono di per sé un fattore pericoloso, quando consente l’importazione di tonnellate di mais e soia geneticamente modificati.

La scelta dell'Italia guarda invece, ha dichiarato il ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali, Maurizio Martina, “alle caratteristiche del modello agricolo italiano, che vince e si rafforza puntando sempre di più sulla qualità e sulla distintività”. Per carità, viva la qualità del prodotto. E se i consumatori sono felici di pagare un prezzo più alto per frutta e verdura con tanto di bollino “bio”, benissimo: per chi li compra e per chi li fa. Ma è possibile sostenere, senza sorridere, che l’innovazione sia nemica della qualità? Che l’agricoltura “buona” sia l’agricoltura dei nostri bisnonni, buona parte dei quali soffriva la fame? Che non esista la necessità di incrementare la produttività, e che comunque non c’è incremento di produttività che non vada a scapito della bontà dei prodotti?

Proprio l’altro giorno la Banca mondiale ha diffuso stime incoraggianti circa la diminuzione della povertà estrema nel mondo. Il numero di persone che vive in povertà estrema dovrebbe scendere sotto il 10 per cento della popolazione mondiale nel 2015. È un risultato straordinario, inimmaginabile senza la globalizzazione dei mercati e la capacità d’innovazione e crescita dell’agricoltura globale. Del resto, quello che chiamiamo “progresso” è precisamente questo: la capacità di sfamare finalmente, e meglio, un numero crescente di bocche.

Ma è sempre più diffusa l’idea che proprio dal mondo del cibo il “progresso” dovrebbe essere interdetto. Il divieto di coltivazione di Ogm si basa sull’idea che il mondo si divida in piccoli e buoni produttori di qualità e grandi e cattive multinazionali dello sfruttamento. Non c’entra nulla con la tutela della salute, con la lotta alla malnutrizione, con il progresso e la prosperità del settore agroalimentare. Rendere più difficile gli incrementi di produttività in agricoltura non renderà più facile “nutrire il pianeta”: semmai l’esatto contrario. Il ministro Martina non vuole “permettere alle multinazionali di strafare”. Se “strafare” significa produrre più cibo a costi più contenuti, perché andrebbe impedito alle multinazionali o ad altri? Mai come in questa caccia alle streghe si avverte quanto inconciliabili siano le necessità delle persone, da una parte, e i nuovi travestimenti dell’ideologia dall'altra.  

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:20