Contrordine, tedeschi

Al tredicesimo congresso del sindacato europeo, nel trionfo dell’esponente della Uil Luca Visentini (nella foto) divenuto segretario generale, una Cgil opaca ha cercato il suo protagonismo. Ha presentato la proposta di un salario minimo europeo contraddicendo la sua tradizionale posizione contraria in Italia. Il ragionamento voleva armonizzare l’istituto ormai presente in tutto il Vecchio Continente tranne che in Italia, Austria, Danimarca, Finlandia, Svezia e Cipro. È stato un flop. Uil e Cisl non hanno sostenuto la proposta in quanto tale e i sindacati scandinavi si sono detti contrari alle armonizzazioni che a casa loro significherebbero abbassamenti degli importi.

In Polonia, per esempio, il minimo è di 2,10 euro. Eppure dopo che da quest’anno la Germania, su spinta del sindacato Deutscher Gewerkschaftsbund (Dgb), ha introdotto il salario minimo orario di 8,50 euro per tutti i lavoratori, sembrerebbe maturato il tempo per un nuovo grande accordo che magari presto, Visentini e Marcegaglia, in nome del lavoro e del capitale europeo, potrebbero firmare tornando alle grandi convergenze di più di un decennio fa. L’esistenza di rapporti di lavoro legali a 2 o 3 euro l’ora è indubbiamente una ferita aperta. Il problema è che l’istituto, se non fissato in modo ferreo, fa acqua da tutte le parti, anche in Germania. Qui ci sono aziende che hanno preso a distinguere tra reperibilità ed effettivo lavoro, pagando solo il secondo con il salario minimo orario. Altre imprese segnano meno ore di lavoro di quelle effettuate, motivando l’impossibilità di reggere i conti con il nuovo costo del lavoro. Molti contratti sono passati dai genitori ai figli minorenni cui il salario minimo non si applica. Altri dipendenti sono stati costretti a licenziarsi per lavorare come freelance, non godendo di minimo garantito. Idem per i soci delle cooperative. Altri ancora hanno proprio perso il posto soprattutto nel settore turistico, mentre i camionisti stranieri fanno strani giri per evitare il territorio tedesco. Il dumping salariale è stato finora uno degli strumenti del successo economico tedesco ed è dura rinunciarvi, per cui l’aggiramento della norma è sempre più frequente. Il centralino messo a disposizione dal sindacato Dgb è incandescente per le denunce di abuso. Alla fine il governo ha ammesso che, dopo una fase di transizione, il salario minimo sarà a regime solo tra quattro anni, nel 2019. Contando in una diversa congiuntura.

Per ora il salario minimo tedesco è solo una bandiera formale che probabilmente verrà rivisto al ribasso. Come ha puntualizzato il segreatario della Uil, Paolo Pirani, per funzionare il salario minimo deve garantire l’abbassamento del salario e non il suo rialzo.

 

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 15:10