Bye-bye Marino!

Sono belle giornate a Roma, anche se piove. A portare il sole non è stato l’anticiclone delle Azzorre, ma la notizia che Ignazio Marino sloggia dal Campidoglio. Se ne va. Si dimette. Au revoir, bye-bye, auf wiedersehen, aloha. Era ora che il “personaggetto” facesse retromarcia e tornasse, se ancora vi riesce, a fare il chirurgo. Come sindaco ha dimostrato di non valere una cicca perché, di là dai proclami, non ha combinato nulla. Anzi, con lui la vita dei cittadini dell’Urbe è peggiorata. Più disagi, più inefficienza nei servizi pubblici, più insicurezza nelle strade. Che altro avrebbe dovuto fare per meritare di essere messo alla porta? Benché Marino sia stato criptico nel giorno dell’annuncio (“me ne vado ma potrei ripensarci”, possiamo considerare la sua parabola politico-amministrativa giunta al termine. Finisse qui la cosa, sarebbe bellissimo.

Purtroppo ci tocca di assistere al solito teatrino mediatico nel quale le animelle del Partito democratico e dintorni giocano a prendersi il merito della cacciata del neo- impresentabile. I renziani sono i primi a dire: l’avevamo detto che doveva andar via. Bravi! Ma perché non l’hanno liquidato a tempo debito? Matteo Orfini, il nuovo “piccolo Cesare” di Roma, si è giustificato dicendo: “Ho provato a salvarlo, ma ora è indifendibile”. Furbo! E perché lo ha fatto se sapeva da prima che Ignazio Marino non avrebbe retto all’impatto con il precipitare della crisi della città? Le verginelle, dure e pure, di Sel si schermiscono ricordando che, loro, la fiducia al sindaco l’hanno tolta già dallo scorso luglio. Tuttavia si affrettano a dire, per bocca del portavoce Paolo Cento, che se Marino andasse nell’aula capitolina ad aprire un dibattito sulle motivazioni che lo hanno spinto a lasciare, Sel, chissà, potrebbe anche… Potrebbe cosa? Non c’è niente da fare, sono gli ipocriti di sempre: fanno i casti ma se c’è uno spiraglio che si apre per tornare in partita, ci si tuffano a capofitto. Allora, di chi è veramente il merito di questo pietoso atto d’igiene per Roma? Ovvio! Nessuno della ex-maggioranza di sinistra in Campidoglio può rivendicare meriti. Renzi e i suoi, ma anche in non-suoi, hanno obbedito ai desiderata dei poteri che contano nella capitale. Marino va a casa perché si è posto in rotta di collisione con i vertici vaticani. Con le sue sparate opportunistiche ha messo in difficoltà anche il Papa e ciò non gli poteva essere perdonato. In queste ore circola gossip a tutto spiano. Secondo Dagospia, a intimare la cacciata del sindaco sarebbe stato il Segretario di Stato della Santa Sede, cardinale Pietro Parolin. L’avviso di sfratto sarebbe stato recapitato al governo italiano per il tramite del ministro Graziano Delrio, “l’uomo di Dio” alle Infrastrutture e Trasporti. Probabilmente si tratta di una bufala. È inverosimile che l’alta gerarchia si sia scomodata a impartire un ordine diretto. Non ve n’era alcun bisogno. Dopo la sfuriata del papa sul volo di ritorno dagli States – Marino non l’ho invitato io, è chiaro! – come si poteva pensare che uno scroccone, bugiardo, in cerca di pubblicità gratuita, potesse rimanere al suo posto? Bergoglio, prima che Pontefice, è un gesuita e si sa che i devoti epigoni di Sant’Ignazio da Loyola sanno come si gestisce il potere; governano da secoli con mano di ferro in guanto di velluto. È dimostrato: il perdono di Papa Francesco passa per un ceffone ben assestato. Il Papa è lo stesso che, in altra occasione ad alta quota, non si è fatto scrupolo di dire: se parli male di mia madre ti becchi un cazzotto. Volete che risparmiasse una santa pedata a un soggetto inaffidabile che, con il suo narcisismo inconcludente, sta mettendo a rischio la riuscita del Giubileo?

La verità è che sono passati quasi 150 anni da Porta Pia, ma lo scettro del comando è ancora là dove è rimasto per tutto il tempo, salvo rari intervalli: dall’altra parte del Tevere, al riparo tra le antiche mura leonine. #Renzi non conti una cippa#.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:50