La verità che al cinema non vi raccontano

venerdì 23 ottobre 2015


È stato presentato come il film che racconta il backstage della trasmissione Cbs che “mandò in onda i dettagli militari con cui George Bush jr evitò (di essere arruolato per) la guerra in Vietnam” (la Repubblica), un crescendo di emozioni e sensazioni sul giornalismo d’inchiesta che fa dire al suo regista: “i giornalisti sono degli eroi, non sottovalutateli” (Huffington Post).

Il film

Le prime recensioni di “Truth” lasciano pochi dubbi: Robert Redford e Cate Blanchett recitano al loro meglio per raccontare la bellezza del giornalismo old style, quello libero dal potere e dai condizionamenti, quello interpretato da giornalisti con la schiena così dritta da mettere a repentaglio il proprio posto di lavoro pur di raccontare la verità.

truth-and-duty1 - Il titolo de La Stampa è molto chiaro: “La caduta in disgrazia del giornalista tv che raccontò come Bush evitò il Vietnam”. E come lo raccontò? Semplice: “con un servizio giornalistico in cui si dimostrava che il Presidente George W. Bush aveva eluso i suoi doveri di soldato americano, evitando, con appoggi e raccomandazioni, di partire per il fronte”. Poi uno sprazzò di verità perché, scrive il quotidiano torinese, “i documenti che supportano l’inchiesta risultano falsi o comunque non adeguatamente verificati” e da questa che sarebbe la vera notizia del film si passa rapidamente ad altro con il regista James Vanderbilt che ammonisce: “non bisogna smettere di investigare sui potenti”.

E’ tutto bellissimo. Se non fosse per un piccolo, impercettibile, particolare: Truth è la trasposizione sul grande schermo di un libro scritto dalla produttrice televisiva Mary Mapes (interpretata qui da Cate Blanchett), una delle menti del Rathergate.

Come nacque il caso

Ma facciamo un passo indietro: che cos’è il Rathergate? Per capirlo a fondo occorre ritornare con la mente al 2004. Mancano due mesi al giorno delle elezioni presidenziali statunitensi: il presidente uscente George W. Bush e lo sfidante democratico John Kerry stanno combattendo una delle sfide elettorali più interessanti degli ultimi vent’anni. Il marito di Teresa Heinz è favoritissimo e i democratici pregustano già una vittoria che per la famiglia Bush saprebbe molto di maledizione: per la seconda volta di fila, infatti, un Bush non riesce a farsi rieleggere alla guida del mondo libero e per la seconda volta di fila ci sarebbe di mezzo anche una guerra a Saddam Hussein. E’ la guerra in Iraq, infatti, il principale talking point attorno a cui la macchina elettorale democratica sta costruendo il difficile tentativo di battere un presidente uscente.

Non va benissimo come i mainstream media liberal vorrebbero e, nonostante in Europa vi abbiano raccontato una storia diversa, Bush è avanti stabilmente nei sondaggi di almeno 5 punti percentuali. L’Iraq è, paradossalmente per W, al tempo stesso la sua debolezza e la sua forza: la campagna Iraqi Freedom non sta andando benissimo ma è chiaro a tutti che sui temi di politica estera il commander in chief dell’undici settembre appare nettamente più credibile dello sfidante democratico.

In una campagna dominata dalla politica estera e dai temi militari, discutere delle esperienze sotto le armi dei due candidati diventa naturale e in un contesto in cui il presidente uscente giganteggia, riempire di dubbi e insinuazioni le foto che lo ritraggono in divisa può essere l’unico modo per invertire l’inerzia di una corsa che pareva segnata. Dev’essere andata proprio così perché riavvolgendo il nastro e rivedendo quel che accadde in quei giorni convulsi di inizio settembre di 11 anni fa appare chiara la trama politica che ha mosso il “giornalismo di inchiesta” made in CBS.

I documenti e Bill Burkett

Con ordine. Mary Mapes non è una producer qualsiasi per la CBS: lavora al fianco di Dan Rather, un monumento del giornalismo americano, erede di Walter Cronkite nel prime time della CBS e conduttore del seguitissimo programma 60 Minutes. Quando in qualche serie tv recente (Scandal, House of Cards, The Good Wife, Newsroom) vedete lanci di documenti in esclusiva sappiate che l’ispirazione è sempre quella: Dan Rather e 60 Minutes.

Da anni Mapes segue una fantasiosa pista di presunte irregolarità e favoritismi di vario genere avvenuti durante il servizio militare dell’allora Presidente degli Stati Uniti e che proprio in quei giorni, coadiuvata dal freelance Michael Smith, sbatte nel volto pacioso del tenente colonnello della Guardia Nazionale Bill Burkett, un signore di mezza età ormai in pensione, evidentemente sovrappeso, con capello unto e riga in mezzo. Un tipo lombrosianamente neutro ma con un record poco raccomandabile: è certo di essersi trovato, nel 1997, sull’uscio dell’ufficio dell’allora governatore del Texas, George W Bush e di aver sentito chiaramente dire che sarebbe stato opportuno “nascondere le tracce che riguardavano il servizio militare” di quello che sarebbe poi diventato il candidato repubblicano alla Casa Bianca del dopo Clinton. Di queste affermazioni, ovviamente, non ha saputo fornire alcun riscontro, a partire dalla sua effettiva presenza ad Austin in quei giorni.

Non basta: nel 2000 proprio in coincidenza della prima candidatura di W alla Casa Bianca, Burkett accusa la Guardia Nazionale americana di averlo trasferito senza motivo alcuno a Panama per la sola colpa di essersi “rifiutato di falsificare documenti relativi al servizio militare del Governatore Bush”. Qui nemmeno prova a difendere la sua versione e ritratta quasi immediatamente. Quattro anni dopo, siamo a Febbraio 2004, il nostro ci riprova: dichiara di avere conoscenza e prove della manomissione di documenti riguardanti la carriera militare di Bush presso la Texas National Guard.

La questione viene presa molto seriamente dai media statunitensi, siamo comunque in un anno elettorale, e una commissione composta da diverse testate giornalistiche nazionali esamina le affermazioni di Burkett, evidenziando la loro inconsistenza e segnalando dubbi “sulla sua credibilità” e sulla “possibilità di provare le accuse”. C’è un particolare interessante: tra le testate che partecipano all’inchiesta c’è anche la CBS.

Il network deve essersi dimenticato di avvisare il loro giornalista di punta, Dan Rather e soprattutto la sua producer Mary Mapes che sette mesi dopo abbocca all’amo di Burkett e culla il sogno di realizzare l’inchiesta che può riportare i democratici alla Casa Bianca. E’ il 2 settembre 2004 ed è con ogni probabilità il momento esatto in cui il Rathergate si materializza: Mapes e Smith incontrano Burkett che consegna loro due documenti in grado di negare la versione ufficiale sul servizio militare di George W Bush. Tre giorni dopo si aggiungono al dossier altre quattro fotocopie che Burkett dice di aver sottratto all’archivio personale del tenente colonnello Jerry B. Killian. I documenti, nessuno in originale ma Burkett assicura trattarsi di fotocopie autentiche, attestano che il giovane George W Bush avrebbe rifiutato di sottoporsi a test fisici necessari ad ottenere l’abilitazione al volo e che, in seguito alla mancanza degli standard richiesti, è stato esonerato dalle attività di volo. Di più: Killian riporterebbe di una telefonata in cui Bush si sottrae alle esercitazioni per partecipare ad una campagna elettorale e, cosa ben più grave, l’ex comandante dell’allora inquilino della Casa Bianca denuncia pressioni per assegnare a Bush rating militari migliori di quelli che avrebbe meritato.

Il caso è potenzialmente esplosivo. Partono, come doveroso, i controlli effettuati dal network sulla veridicità dei documenti. Vengono coinvolti quattro esperti in materia e le loro relazioni lasciano molti dubbi sull’autenticità di questo dossier. C’è una sola conferma, quella di James Pierce, secondo cui “i documenti sono autentici” anche se l’esperto lascia aperta la porta dei dubbi ammettendo di aver lavorato su “copie e non sui documenti originali”. Sono due donne, però, Emily Will e Linda James, a mettere nero su bianco dubbi che si riveleranno premonitori. Entrambe si concentrano su aspetti di natura tipografica segnalando come l’intestazione appaia anomala così come la spaziatura tipografica tra caratteri ma ad accendere le perplessità di entrambe ci sarebbe l’uso, al tempo non consueto, dell’apice “th”.

Le bugie in onda

I segnali di allerta vengono sapientemente ignorati e Rather confeziona per l’8 settembre il suo personale regalo per il presidente in carica. Nel mentre, Mapes e la campagna elettorale di Kerry sono in contatto costante: un po’ perché tra i soggetti c’è affinità elettiva, un po’ perché la Mapes promise a Burkett un contatto con chi gestiva le attività elettorali del candidato democratico. Niente di illegale, sia chiaro, ma quantomeno sospetto sì.

“I record militari dei due uomini che corrono per la presidenza sono diventati parte della battaglia politica che si gioca in questa campagna elettorale, uno strumento per aumentare o distruggere la credibilità del prossimo comandante in capo degli Stati Uniti d’America”. Dan Rather non avrebbe potuto essere più enfatico, e inavvertitamente sincero, nell’introdurre la puntata di 60 Minutes che avrebbe cambiato la vita sua, di larga parte del suo staff e il rapporto tra internet e informazione tradizionale. Da lì, per l’anchorman texano, è tutta discesa: spiega minuziosamente la genesi dello scoop, riferisce di esperti che avrebbero avallato l’autenticità dei documenti e sgancia l’arma finale contro George W Bush.

“Siamo nel maggio del 1968 – spiega guardando negli occhi milioni di americani – e il Vietnam è in fiamme. In un solo mese, più di 2000 soldati americani sono morti combattendo e molti altri stavano per essere richiamati e mandati in mezzo alla giungla. George W Bush si è appena laureato a Yale e rischia di essere chiamato in Vietnam. Abbiamo qui un uomo, Ben Barnes, che ci spiega come ha evitato che questo accadesse”. E giù la spiegazione articolata di come Bush è riuscito ad evitare il Vietnam e, soprattutto, nuove ulteriori conferme sulla veridicità dei documenti presentati.

I blog battono i mainstream media 

La trasmissione, com’era facilmente immaginabile, scatena il finimondo. A sezionare sapientemente le affermazioni di Rather ci pensa la blogosfera di centrodestra. Charles Foster Johnson di Little Green Footballs dimostra in poco tempo che il documento, per come è stato presentato, potrebbe essere stato realizzato facilmente utilizzando Microsoft Word nelle sue impostazioni di default. E’ un piccolo, campale, uovo di colombo che riporta tutto ai quattro esperti interpellati dalla CBS. Due di loro lo avevano notato e la blogosfera ha fatto il resto: la spaziatura del testo è compatibile, identica, a quella di Microsoft Word e difficilmente compatibile con quella di una macchina da scrivere come quelle usate al tempo della redazione degli originali. E quel “th” che gli inglesi usano in alto a destra per indicare i numeri ordinali semplicemente non poteva essere uscito da una macchina da scrivere. E infatti era figlio legittimo di Bill Gates.

Basterebbe questo a decretare “gioco, partita, incontro” ma la reazione della Cbs che prova a negare tutto è ancor più comica perché travolta dallo sdegno degli esperti che, tirati per la giacchetta, smentiscono categoricamente di aver validato i documenti. Dovranno passare undici lunghissimi giorni prima che Rather si decida a capitolare: il 20 settembre va in onda, molto meno baldanzoso del solito, per ammettere l’errore e aprire la strada alle sue dimissioni.

La commissione indipendente

Il secondo tempo di questo match tra verità e finzione è giocato in prima persona dalla Cbs che chiede ad un panel indipendente di esaminare quanto accaduto. L’esito è tragicomico. Dick Thornburgh (ex Attorney General di George H. Bush) e Louis Boccardi (già Associated Press) mettono in riga tutti gli errori del team Rather: nessuno ha mai autenticato i documenti e Rather ha mentito in diretta affermando il contrario; nessuno si è premurato di verificare il background di una fonte dichiarata solo sei mesi prima poco attendibile; il conflitto di interessi tutto politico dei rapporti con la campagna elettorale di Kerry; la sfilza di volute mancate verifiche tutta proiettata a sostenere una tesi preordinata e soprattutto il tentativo grottesco di continuare a sostenere il falso, dando vita ad una programmazione successiva alle polemiche orientata solo a difendere quanto detto senza mai indagare i dubbi emersi in seguito alle contestazioni ricevute.

Cos’è stato veramente il Rathergate

Il Rathergate non è la storia di un giornalista coraggioso osteggiato dai potenti. E’ il racconto di un pezzo malato dell’informazione americana fatta di partigianeria, connivenze politiche, tentativo di orientare l’opinione pubblica con operazioni di killeraggio mediatico e dossier fabbricati a tavolino da personaggi oscuri cui viene attribuita credibilità solo perché necessari a sostenere una tesi.

Probabilmente il regista avrebbe dovuto costruire il suo film partendo non tanto dal libro di Mary Mapes ma dal rapporto successivo realizzato dalla Cbs. Ci avrebbe risparmiato un sacco di retorica sui “giornalisti eroi” e avrebbe fotografato l’altra faccia della medaglia di un mestiere tanto bello quanto delicato e pericoloso. Quando ambiscono ad essere degli eroi e servono le proprie opinioni molto più che la verità delle notizie, i giornalisti tendono ad essere dei gran bugiardi.

 

Lettura consigliataUsa 2004, il clamoroso falso di Dan Rather (Andrea Mancia, Ideazione)

Tratto da Rightnation


di Andrea Mancia e Simone Bressan