François Hollande, grande per un giorno

François Hollande si è rivolto ai parlamentari francesi riuniti in seduta comune nella splendida cornice della reggia di Versailles. Dopo i morti di Parigi nelle sue parole si è udita la voce della Francia. Bisogna ammetterlo: Hollande è stato convincente. Ha detto che il paese è in guerra e che bisogna distruggere i terroristi, senza pietà. L’inquilino dell’Eliseo ha annunciato che compirà ogni sforzo perché con Washington e Mosca si giunga alla convergenza sugli obiettivi militari e politici da colpire nell’area del Medio Oriente dove sta dilagando il virus del fondamentalismo islamico.

Nel suo discorso è risuonata più volte la parola “frontiera”. La Repubblica difenderà i suoi confini aumentando i controlli su coloro che chiedono di varcarli. La Francia è la Francia e non imbarca chiunque. Inoltre, Hollande, nel desiderio di assicurare alla sua comunità nazionale maggiore sicurezza non ha avuto timore di infrangere un tabù: la modifica della carta costituzionale nella parte che sancisce le libertà individuali. Non vi è dubbio che sia stato coraggioso nel compiere un passo del genere. È noto che il tema dell’equilibrio tra libertà e sicurezza sia all’ordine del giorno di tutti paesi occidentali. Tuttavia, la questione è rimasta sostanzialmente irrisolta a causa dei timori, abbastanza diffusi, di regredire nei diritti individuali tanto faticosamente conquistati.

Oggi la Francia, patria dei diritti dell’Uomo, prova a superare l’impasse. Dopo la decisione di prorogare lo stato d’emergenza di altri tre mesi, varare una legislazione eccezionale per combattere il terrorismo interno restituisce il segno di un mutato clima che riscopre la primazia del diritto della comunità alla sicurezza rispetto a quello dell’individuo alla libertà assoluta. Il decisionismo di Hollande ricorda quello dei governi italiani che, negli anni Settanta, fronteggiarono l’insorgenza del fenomeno terroristico di matrice politica con le leggi speciali. La classe dirigente di allora sfidò l’indignazione popolare per le misure che furono bollate come liberticide, ma a distanza di tempo bisogna riconoscere che quell’azzardo sul terreno dei diritti fondamentali creò le basi per la vittoria sui nemici dello Stato.

Hollande ha chiesto aiuto ai partner europei per combattere assieme la battaglia contro l’Is. Ha menzionato il trattato costitutivo dell’Unione europea che, all’articolo 42.7 primo comma, recita testualmente: “Qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite”. Da Versailles, dunque, la palla è stata lanciata nel campo delle altre cancellerie europee nella speranza che venga raccolta e giocata. Ma non c’è da illudersi troppo. L’Europa non esisteva prima dei morti di Parigi e continua a non esistere adesso. Il primo a defilarsi, a disdoro della nostra dignità nazionale, è stato Matteo Renzi che, dal G20 di Antalya, si è affrettato a pigiare il freno dicendo ai partner che bisogna ragionare con calma, che si deve usare la testa e non la pancia e altre amenità del genere.

La verità è che passata la festa, gabbato lo santo. La reazione del premier italiano, al netto dell’ipocrita solidarietà di circostanza data ai francesi, non è stata di mente ma d’intestino. Mentre lui s’industria a inventare scuse per sfilarsi dall’impegno bellico nella demenziale convinzione che i terroristi, non trovandoci sul campo di battaglia, ci risparmieranno, Hollande invia l’ammiraglia della sua flotta, la portaerei Charles De Gaulle, davanti alle coste della Siria per scatenare l’inferno. È il coraggio delle scelte impegnative che dà la misura della grandezza di una nazione. Ecco perché la Francia ha diritto di sedere tra le grandi della terra mentre la nostra piccola Italia questo diritto l’ha perso da un pezzo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:36