L’Età del Terrore,   una risposta radicale

“Allons enfants de la Patrie, le jour de gloire est arrivé...”. Non poteva toccare che alla Francia l’onere – ma anche l’onore – di porsi alla testa della guerra contro il terrore. La Francia, un Paese depresso e inquieto, che dichiara di voler onorare senza sconti le sue tradizioni illuminate ma anche va orgogliosa di fare alzare in volo i suoi “Rafale” per contendere il dominio dei cieli ai “Lockheed” americani e ai “Sukhoi” sovietici, può oggi assumere il ruolo che più ama, competere alla pari con Usa e Russia.

Il Bataclan replica le Torri Gemelle, nell’orrore ma anche nelle conseguenze. Il massacro dei due grattacieli americani ha fatto scoprire appieno l’Età del Terrore, quello del Bataclan ne rinfocola l’immaginario. E l’Età del Terrore è ormai, e resterà a lungo, il nostro tempo psicologico, quello su cui misureremo, ad ogni momento della giornata, noi stessi e il contesto che ci circonda e in cui siamo immersi. Tutto, in questo contesto, sarà da ora in poi soggetto allo stress del terrore. Purtroppo, come è noto, le reazioni a questo stress sono per lo più scomposte, irrazionali, ciecamente volontaristiche. Quando venne gettata, dall’attentato alle torri, nella seconda guerra del Golfo, L’America patì gli errori e la mendace pervicacia che portarono Bush e Blair ad aprire un conflitto che non poteva essere vinto e le cui conseguenze negative sono ancora sotto ai nostri occhi e probabilmente vanno annoverate come causa non secondaria delle attuali crisi. Mai l’Occidente aveva dato una così bassa immagine di sé: dalle bugie sostenute all’Onu dal Segretario di Stato Colin Powell circa le armi chimiche di Saddam fino all’osceno processo e alla messa a morte del despota di Baghdad, reo soprattutto di essere detentore di segreti, o di verità, che non dovevano essere rese pubbliche. Dopo di allora, l’America non è più stata la stessa, si è avvolta in una spirale di crisi da cui non è ancora riemersa abbastanza da poter riprendere il suo storico ruolo di guida morale, economica e politica dei paesi democratici.

Per conseguenza, assistiamo oggi ad una nuova inedita corsa al primato nella leadership mondiale: se l’America non ce la fa più, la Russia di Putin è ben più che una comparsa, la Cina ha sostituito un Giappone pago dei suoi “ninja” ipertecnologici, la Germania resta un nano politico, l’Europa latita. Ecco allora la Francia dare un colpo di coda, e arrampicarsi di nuovo su palcoscenico della Storia. Mica dice “noi, l’Europa”, dice “io, Francia”. Per la verità, è dall’epoca di De Gaulle e del rifiuto della Comunità Europea di Difesa (1955) che lo dice; però non si perita, oggi, di chiedere l’aiuto militare ai - riluttanti - paesi europei.

Oggi come ai tempi di Bush e Blair, l’Età del Terrore sarà tutt’altro che inclusiva. Imporrà un distacco incolmabile tra noi e l’altro, il nostro prossimo. Il vicino del pianerottolo già può apparirci come un subdolo nemico. L’illuminismo era, almeno nelle intenzioni, inclusivo, anche se la Ragione non sempre seppe contenere gli effetti torbidi del suo estremismo e conobbe l’arte della discriminazione ostile. Ma le sue migliori predicazioni vengono pretestuosamente accantonate. Solo per leggi di “emergenza”, si dirà, destinate ad una vita breve, a data di scadenza fissa. Ma, come ha ricordato sul “Corsera” Sergio Romano, “dopo gli attacchi alle Torri Gemelle dell’11 settembre 2001, il “Patriot Act” emanato da Bush conteneva misure repressive e inquisitive che l’apparato poliziesco degli Stati Uniti richiedeva da tempo, e fu l’occasione per la più brusca svolta illiberale del sistema americano dai primi anni della Guerra Fredda”: come non ricordare Guantanamo? Dopo Bataclan, Hollande ha chiesto leggi eccezionali di sicurezza. Va bene, non nuove e solo per tre mesi: come si dice, la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni...

Renzi si è rifiutato di emanare analoghe “leggi speciali”, e di fomentare “l’isteria”, un’isteria – alla Houellebecq o alla Oriana Fallaci, diciamo - pronta ad accendersi, se è vero che, come riporta il “Corsera”, “a Pisa, un detenuto musulmano ha indossato una maglietta con scritto ‘Parigi’, destando qualche sospetto”... Speriamo bene. Perché Sergio Romano ci avverte che l’Isis “può continuare a reclutare solo se riesce ad infiammare l’immaginazione dei suoi giovani ‘martiri’, e la sua mostruosa sfida “suscita ammirazione in molti giovani che vanno alla ricerca di una causa in cui affogare la rabbia e le frustrazioni accumulate nei ghetti delle banlieue di Parigi”. Lo vediamo in questi giorni con i focolai di morte che si accendono da Bruxelles a Bamako: l’Isis, col suo fondamentalismo, è in primo luogo uno stato d’animo, una reazione, follia. Nasce e rinasce ovunque, basta che trovi un brodo di cultura. Chiudere le frontiere, accentuare controlli, innalzare muraglie attorno alla “Fortezza Schengen”, ecc., faranno ancor più lievitare quelle rabbie giovanili.

Alle iniziative militari, all’opportunismo delle strane alleanze, occorre al più presto sovrapporre (e imporre) una strategia più lungimirante. E, per quel che ne sappiamo, non c’è migliore strategia - per dare agli animi esacerbati un punto di riferimento certo, un briciolo di sicurezza non passeggera e di speranze concrete - che il rafforzare le garanzie del diritto, della legge: non solo “eguale per tutti”, ma anche capace di prevedere e soddisfare i bisogni profondi, e nuovi, dell’umanità di domani, l’umanità globalizzata, l’umanità 2.0. Orizzonti nuovi si aprono all’umanità di domani, ma sono orizzonti incerti, senza principi stabilizzati, senza norme. Questa umanità, una umanità tutta di “migranti”, di individui, di soggetti che mutano, evolvono, si staccano dalle loro radici per proiettarsi avanti, per plasmarsi e riplasmarsi, per adeguarsi al nuovo prima che questo divenga uno “ieri”, sarà molto diversa da quella di oggi. Oggi, le ragioni dell’individuo, del soggetto, vengono spesso ignorate o conculcate dalle ragioni del diritto positivo, un diritto che ha come orizzonte gli Stati nazionali e l’etica che da essi si è, nei secoli, generata. Ma già oggi l’individuo vuole sentirsi libero di essere un “cittadino del mondo”, vuole andare a cercare la propria felicità dovunque essa si presenti. L’individuo di oggi è sempre, consapevolmente o no, un “migrante”. Anche quando sedentario.

Molti, di fronte a queste drammatiche incertezze proclamano la fine della civiltà, dell’Occidente, e propongono il richiamo religioso. A noi pare che occorra piuttosto cercare di lavorare, laicamente, alla fondazione di un diritto adeguato ai nuovi tempi. È quanto cercano di fare i radicali del Partito Radicale, con la loro iniziativa di investire l’Onu della responsabilità di affermare un nuovo diritto umano alla conoscenza, e di promuovere una transizione alla democrazia che coinvolga assieme i Paesi dell’Occidente e il mondo arabo. Ha scritto a Rita Bernardini, già segretaria nazionale di Radicali Italiani: “Noi dobbiamo sostenere all’Onu - con un nostro diretto, forte impegno e adeguate lotte - la battaglia già incardinata per la transizione verso lo Stato di Diritto attraverso l’affermazione del diritto umano alla conoscenza, contro la Ragion di Stato. Ed è all’Italia (che vogliamo divenga finalmente consapevole di sé, dei suoi limiti e delle ferite da decenni inferte alla democrazia e ai diritti umani) che noi intendiamo affidare la leadership della campagna alle Nazioni Unite, cosicché la sua candidatura - già avanzata - a membro del Consiglio di Sicurezza non sia la scontata occupazione di un posto di potere, ma abbia il respiro di una strategia politica per il futuro... Ciò che non mi ha fatto scoraggiare fino a mollare è stato vivere giorno dopo giorno con Marco Pannella, il quale continua a testimoniare con la sua forza morale ed intellettuale ciò di cui è intimamente convinto e che ci ha portato in passato ad ottenere, proprio all’Onu, la moratoria delle esecuzioni capitali e l’istituzione del Tribunale Penale Internazionale...”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24