Per pace e coesione servono i fatti

martedì 24 novembre 2015


A parte il fatto che gli appelli e le dichiarazioni di Matteo Renzi sulla necessità di “stare sereni” portano piuttosto sfiga (basterebbe parlare con Enrico Letta per capire), ma poi le ansie degli italiani sono così articolate e diffuse che altro ci vorrebbe al posto dei messaggini del Premier per dissolverle. Oltretutto Renzi si sente un guru e pensa di avere un’autorevolezza pedagogica sugli italiani che non ha e che nessuna elezione gli ha riconosciuta, visto che personalmente il Presidente del Consiglio in carica non si è mai sottoposto alla prova del voto.

Con ciò non intendiamo dire che gli inviti alla calma non siano utili e talvolta indispensabili, ma solamente che come sempre nella vita i fatti contano molto di più delle parole e di fatti sino ad ora gli italiani ne hanno visti davvero pochi. Ne hanno visti pochi sul tema dell’immigrazione che continua ad essere incontrollata e mal gestita, pochi sul welfare che permane un buco nero pieno di ingiustizie e sperequazioni, pochi sulla fiscalità che resta ossessiva e persecutoria, tanto da far esplodere contenziosi e rateizzi al limite della rivolta, pochi sulla burocrazia che insiste ad essere follemente onnipresente.

Certo, il Paese ancora regge perché l’immensità dell’impiego pubblico, o praticamente tale, fa da cuscinetto alla rabbia sociale di tutto il resto, ancora regge perché la previdenza seppure a debito e con mille ingiustizie riesce a pagare ed a stare a galla e perché il risparmio storico degli italiani non molla e tappa buchi ed emergenze. Insomma, nonostante l’immensa vastità dei problemi la corda dell’Italia, seppure sempre più sottile, ancora non si spezza, ma proprio per questo bisognerebbe domandarsi quanto può durare e quanto potrà reggere prima che salti tutto come un tappo di spumante.

Bisognerebbe chiedersi di quanto potrà salire un debito che è già vertiginoso prima che i mercati lo ritengano definitivamente insostenibile e quanto potrà resistere un sistema fiscale segnato da un’infinità di liti e contenziosi, da rateizzi che ormai non si riesce più a rispettare, da insolvenze che chiaramente sono da sopravvivenza. Quanto può vivere ancora un Paese che, pure in un frangente finanziario favorevole come l’attuale, cresce di un niente e continua a spendere più di quanto incassi, continua a proteggere privilegi insostenibili ed a mantenere eserciti di inutili zavorre di Stato?

Quanto può durare un sistema che ormai vive essenzialmente di cartelle fiscali, esecuzioni, fallimenti, pignoramenti, insolvenze bancarie e ristrutturazione del debito? Insomma questa è la realtà, alla quale, come se non bastasse, in questi giorni si è aggiunta l’ignominia di un terrorismo fondamentalista che è entrato come un virus nelle nostre vite, facendone scempio e distruzione. Gli italiani, specialmente quelli che non hanno stipendi garantiti dallo Stato, quelli che lavorano nel privato, saltuariamente, quelli dei negozi, dei laboratori, i giovani dei call center e gli esodati, gli anziani che mantengono i figli senza lavoro e quelli che risparmiano su tutto, hanno paura e ce l’hanno da tempo e oggi ovviamente ancora di più. Il Premier pone e dispone come se il Paese fosse il suo, come se il popolo lo avesse incoronato, come se il voto lo avesse legittimato, ma non è così e gli italiani lo sanno bene e per questo chiedono altro, si preoccupano e vivono con ansie e problemi quotidiani grandi e irrisolti. La gente vuole i fatti, più sicurezza, più lavoro, vuole una pace fiscale che risolva in qualche modo il passato, le pendenze e i contenziosi, per poter ricominciare sul pulito; la gente vuole servizi efficienti e uno Stato che li aiuti e non perseguiti. Solo così potrà esserci davvero quella unità e quella coesione sociale che tanto si rivendica, solo ripristinando il patto di fiducia fra politica e elettori, fra Stato e contribuenti, fra amministrazione e cittadini, solo facendo la pace si può avere la pace, altrimenti, davvero, la guerra rischia di vincere su tutti i fronti.


di Elide Rossi e Alfredo Mosca