Il flop degli islamici nelle piazze italiane

Non bisogna nascondersi la verità: le manifestazioni islamiche anti-Is dello scorso sabato nelle principali piazze d’Italia sono state un clamoroso flop. A Milano come a Roma, dietro lo slogan “Not in my name” si sono ritrovate poche centinaia di persone. E non tutte musulmane. In soccorso dei manifestanti si è mobilitata la “meglio” sinistra. Capi sindacali, collaboratori della Comunità di Sant’Egidio, parlamentari e politici del Partito Democratico, intellettuali più o meno famosi. Tutti fuorché i musulmani residenti nel nostro Paese.

I progressisti benpensanti hanno preteso di piegare la realtà a proprio uso e adesso ci troviamo con una grana da gestire nel momento più sbagliato che si potesse scegliere, con i cadaveri delle stragi parigine ancora caldi. Purtroppo non c’è argine che tenga alla supponenza di una sinistra autoreferenziale nutrita da luoghi comuni e trite tautologie. Almeno fin quando non si potrà ritornare alle urne per rimettere le cose a posto dobbiamo tenerci questo milieu pseudo-intellettuale che funge da brodaglia di coltura delle peggiori utopie umanitariste dello scorso secolo. Le piazze di Roma e di Milano, nella loro disperante desolazione, ci hanno risputato addosso la verità: la comunità islamica ramificata sul nostro territorio con quasi due milioni di appartenenti si è guardata bene dal prendere posizione contro la minaccia jihadista. Allora sono tutti filo-terroristi? Certo che no. Sarebbe financo stupido asserirlo. Tuttavia, resta il fatto che non sia stata rilevata la disponibilità di un mondo separato a porre in discussione quei presupposti ideologico-religiosi che fanno dell’Islam un’antagonista in lotta per l’egemonia sulle altre civiltà.

Ciò che ha tenuto i musulmani lontani dalle manifestazioni non è stata la paura della ritorsione degli jihadisti, quanto la preoccupazione che la condanna di un fenomeno criminale, in sé deprecabile, potesse innescare un revisionismo critico dell’Islam, sotto la spinta della cultura egemone presente nell’ordito della civiltà occidentale. Ma c’è dell’altro. Il flop di sabato scorso potrebbe rivelare l’esistenza di una vasta area grigia popolata da islamici che scelgono l’equidistanza tra il radicalismo religioso e l’Occidente. Un atteggiamento simile gli italiani lo hanno conosciuto, negli anni Settanta, ai tempi del terrorismo politico quando in alcuni ambienti intellettuali della sinistra radical-chic prese piede la seguente posizione: “Né con lo Stato, né con le Brigate Rosse”. Quell’apparente neutralità avrebbe potuto spianare il terreno ai terroristi. Non era connivenza e neanche contiguità di pezzi dei ceti colti con i nemici della democrazia; piuttosto si rischiava di creare un humus che avrebbe reso politicamente giustificabile il fenomeno eversivo. Se non vi riuscirono fu perché gli ambienti intellettuali interessati avevano numeri contenuti. Sulla loro ambiguità prevalse la volontà della grande maggioranza della nazione di isolare e colpire il nemico interno. Ciò che oggi preoccupa è la consistenza della comunità islamica, destinata a crescere nel prossimo futuro per effetto dei flussi incontrollati d’immigrazione clandestina.

Se lo Stato consente che prosperi una vasta area-cuscinetto dove sia possibile ricostruire la storia mantenendo inalterata la condizione di conflittualità tra modelli socio-culturali alternativi, non sarà certo per la sacrale difesa del libero pensiero. Sarà piuttosto il prezzo di una sconfitta subìta dallo Stato nell’esercizio della propria missione: mantenere coesa la comunità sottostante. Non siamo per niente contenti della figuraccia rimediata dalle anime belle del Pd e dintorni. Il pessimo risultato di sabato riguarda tutto il popolo italiano. Individuare, a questo punto, il vero nemico da sconfiggere non può ridursi a puro esercizio intellettuale ma assurge a inderogabile dovere di protezione sociale dei nostri fondamenti valoriali. Hashtag: #compagni del Pd non ne azzeccate una!

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:28