“La schiavitù in Mauritania”

“È con piacere che ospito Ira Mauritania (acronimo di Initiative for the Resurgence of the Abolitionist Movement, Iniziativa per la rinascita del movimento abolizionista) che mira a difendere valori, quali la libertà e la dignità di ogni essere umano, cui la Lega Italiana dei Diritti Umani si impegna da sempre a promuovere e a difendere”. Così il presidente della Lidu Onlus ha inaugurato la tavola rotonda dal titolo “La schiavitù in Mauritania e le nuove forme di sfruttamento a danno degli immigrati in Italia: Lotte pacifiche comuni per la tolleranza e le libertà”.

Come sottolineato da George Ebai, responsabile Diritti Umani per il Movimento degli Africani di Roma, il divieto di attuare forme di schiavitù, oltre ad essere un principio ormai appartenente al diritto internazionale consuetudinario, è sancito dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 i cui articoli 3 e 4 affermano, rispettivamente, il diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona e il divieto di schiavitù e della tratta degli schiavi. Nonostante la Mauritania abbia aderito a tale Convenzione e al sistema delle Nazioni Unite da oltre cinquant’anni, l’associazione antischiavista denuncia come il Paese sia al primo posto fra gli Stati che praticano la schiavitù. Infatti, se da un lato, grazie anche alla campagna di sensibilizzazione ed informazione attuata da Ira Mauritania, nel 2007 è stata introdotta per la prima volta nella storia della Mauritania una legge che criminalizza la schiavitù; ad oggi tale normativa non viene di fatto attuata, come denunciato dalla stessa organizzazione.

Il quadro della situazione del Paese è stato descritto da Hamady Lehbouss, il quale è impegnato in un tour europeo di denuncia volto a portare la voce di Biram dah Abeid, fondatore di Ira Mauritania e detenuto in carcere nonostante le precarie condizioni di salute. Dopo aver presentato la Mauritania come un paese dell’Africa subsahriana in cui vige una Repubblica di tipo islamico, Lehbouss ha descritto la composizione etnica del Paese, evidenziando come la maggioranza della popolazione sia composta da i cosiddetti “schiavi affrancati”, gli haratin, i quali si trovano spesso a vivere in condizioni di schiavitù e sfruttamento rispetto al gruppo dirigenziale rappresentato dagli arabo-berberi. In seguito all’abolizione formale della schiavitù avvenuta nel 1981, alle trasformazioni sociali e ad una serie di rivendicazioni politiche condotte nel contempo da membri dell’avanguardia haratine (attraverso movimenti, prima, e partiti, poi), il termine “haratin” indica oramai un gruppo che, almeno a livello urbano, ha in larga parte acquisito la consapevolezza di costituire una comunità con un’identità propria.

Nonostante questa prese di coscienza da parte dell’etnia haratine e l’esistenza di una normativa che condanni la schiavitù, essa continua ad essere vittima di emarginazione sociale e politica: “le autorità mauritane fanno di tutto per insabbiare le prove e lasciare impuniti i colpevoli di quello che rappresenta un sistema ormai consolidato, in cui per una donna o un uomo barbero sarebbe impensabile rinunciare ai propri schiavi”. Questa la denuncia di Hamady Lehbouss, il quale evidenzia l’importanza di continuare a combattere pacificamente ma in maniera decisa al fine di modificare realmente questo status quo: infatti gli schiavi, soprattutto donne musulmane, rappresentano uno status symbol per i loro padroni, che inoltre possono vantare un aiuto domestico e familiare gratuito”. Questo stato di asservimento si eredita, a detta dei rappresentanti di Ira, secondo una logica di mater linearità, ossia da madre in figlio.

L’azione di Ira Mauritania, iniziata nel 2008, è comunque cresciuta molto tanto da divenire oggetto di azioni di contrasto da parte delle autorità mauritane, che continuano a considerare “fuori legge” l’Organizzazione. Tali azioni vengono attuate in primo luogo mediante arresto degli attivisti. A tal proposito, Hamady Lehbouss ricorda la figura di Biram Dah Abeid, arrestato l’11 novembre 2014  dalla polizia governativa insieme ad altri attivisti del gruppo, senza un’accusa specifica, nonostante abbia ricevuto nel Premio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite. Lehbouss ha raccontato come nel corso della prigionia il presidente di Ira Mauritania si sia trovato in cattive condizioni di salute e che nessuno al momento sappia con precisione la malattia che lo affligge, non essendo stato stilato dai medici un referto preciso.

Alla Lidu Onlus, impegnata ai sensi del proprio Statuto nella tutela della dignità umana di ogni individuo, Lehbouss ha chiesto di intervenire presso il Governo mauritano affinché la salute del detenuto venga sempre e comunque salvaguardata, informando gli interessati di qualsiasi evoluzione della stessa. Il titolo della conferenza è estremamente significativo poiché il problema della schiavitù non è limitato alla sola Mauritania ma si configura come una vera e propria questione internazionale. Infatti, come sottolineato da Aboubacar Soumahoro, Portavoce Coalizione Internazionale Sans-Papiers, Migranti, Rifugiati e Richiedenti Asilo (Cismp), continuano a persistere situazioni in tutto il mondo - anche in quello che si definisce “democratico” - che incarnano la schiavitù dei nostri giorni, in cui l’essere umano è costretto ad una condizione lavorativa che altro non si può definire che sfruttamento, come ribadito anche da Yacoub Diarra, Presidente della sezione italiana dell’Ira. Il riferimento è, soprattutto, al gap esistente fra i dati del Fondo monetario internazionale secondo cui l’Africa sub-sahariana viaggia ad un tasso di crescita del 4 per cento e le cifre della Banca mondiale che evidenziano la presenza di oltre 702 milioni di poveri nel mondo, metà dei quali concentrati proprio in quell’area del continente africano. Alla luce di una simile disparità emerge spontanea la questione della concentrazione delle ricchezze che evidentemente sono nella mani di “pochi”. In ciò è implicita la denuncia rivolta alla classe dirigente africana che evidentemente ha una responsabilità pesante nella fuga dei propri cittadini dall’inferno dei propri paesi e nell’incapacità di garantire un equa distribuzione della ricchezza.

Ci auguriamo che Ira Mauritania riesca a realizzare l’obiettivo per il quale si batte da anni, ovvero la fine di quella cultura della sopraffazione che in Mauritania si è perpetrata per troppo tempo e come tale non è meno presente in altre parti del mondo. Ovviamente siamo aperti a qualsiasi replica o chiarimento da parte dei rappresentanti della Mauritania nel nostro Paese.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:29