Alfano come Di Matteo    e romanzieri giudiziari

Non solo Nino Di Matteo. Ci sarebbe un “bidone” anche per Angelino Alfano. La mafia, dunque, si sarebbe messa diligentemente (non diciamo mica “previa trattativa” o d’accordo!) a compiere opera di “salvataggio”, parola che fa rima con naufragio, lanciando salvifiche minacce a personaggi sul punto di affogare nel vortice dei loro insuccessi e delle loro cavolate.

Così, dopo aver messo per iscritto minacce di morte così gravi da essere vergate in “caratteri fenici”, diretti in pizzini, a quanto sembra, ad un vicino di cella neanche mafioso, Totò Riina avrebbe formulato oscure minacce di morte anche nei confronti di Alfano, “che aggrava sempre il 41 bis”.

Alfano, malgrado la apparente boccata di ossigeno fornitagli dall’Isis e dallo stato di guerra (ancorché non conflittuale, come precisa il suo delizioso collega agli Esteri, Paolo Gentiloni) sta politicamente affogando. Il suo Nuovo Centrodestra, che poi sarebbe il prossimo acquisto in blocco da parte della sinistra, almeno “cosiddetta”, che sarebbe il Partito Democratico, perde pezzi a Roma ma soprattutto in Sicilia, dove è praticamente scomparso anche nella “casa dei fantasmi”, il Parlamento Siciliano, e dove i microscopici residuati annunziano un loro prossimo “confluire” nel Pd. Chi sta per affogare spera, invoca, talvolta trova che gli si getta una ciambella di salvataggio, lo “aggancia”, lo tira su, magari per fargli la respirazione bocca a bocca. Opera tipica di misericordia, cui pare si sia dedicato Riina, almeno così dicono.

A Di Matteo, reduce dalla topica “prova lampante” nel processo “Borsellino 1”, in cui strenuamente difese la “verità” del pentito intermittente ed imbroglione Scarantino, provocando condanne varie all’ergastolo poi annullate con seguito di altro processo “Borsellino 2, 3 e 4” impantanato nel processo per la famosa trattativa (cioè per il tentativo di subire il ricatto della mafia) che si espande a macchia d’olio così da allontanare il “redde rationem”. Processo nel quale Di Matteo ha ereditato il ruolo primario di Antonio Ingroia, passato prima ad una candidatura a Presidente del Consiglio dei Ministri, poi ad una più consistente carica in una società della Regione, offertagli da Rosario Crocetta, assieme al commissariato della ex provincia di Trapani.

A Di Matteo la “ciambella” delle minacce anche in lettere puniche di Totò Riina, con le sceneggiate di “Agende Rosse” e “Scorta Civica” che si stracciano le vesti perché il Presidente della Repubblica non va a rendergli omaggio (omaggio, quindi, anche alla topica Scarantino con l’appendice delle intercettazioni di Napolitano, del bidone, ecc. ecc.).

Ad Alfano, che sta “peggio combinato” di Di Matteo, non poteva mancare l’opera di “salvataggio dei naufraghi”, cui si sarebbe dedicato Totò Riina in espiazione dei suoi non veniali peccati. Ma la notizia di consimili minacce di morte, senza il contorno, oltre che di bidoni “aventi contenuto” esplosivi e, soprattutto, senza gli strilli di “Agende Rosse”, “Scorta Civica”, del Guru dialogante con gli extraterrestri (e, per loro tramite, con la Madonna e con Gesù) alla fine conta poco. Nessuno degli ex seguaci del fantomatico Ncd, rimasto con il naufrago o messosi in salvo su qualche zattera di passaggio, se l’è intesa di pitturarsi il volto con croci ed altri simboli e mettersi a fare da trait d’union con gli extraterrestri per consolidare il ruolo eroico di Alfano. Che, però, non demorde. In gran fretta ha scritto un libro sulla sua lotta al terrorismo islamico, con rapidità e tempismo tale da far sospettare che abbia battuto sul tempo gli attentatori di Parigi. Ed è andato a presentarlo ad Agrigento, mobilitando prefetti, questori e funzionari perché andassero “a fare pubblico”. Gesto oltretutto coraggioso, stante le minacce di Riina.

Di fronte a cotanto coraggio, fa una figura barbina Ingroia che, dopo aver pubblicizzato minacciosamente un libro da intitolare “Ciao Giorgio” (o qualcosa del genere) per incenerire quel Napolitano là che gli ha nesso (a lui ed a Di Matteo) i bastoni tra le ruote nel processo per la cosiddetta trattativa e che sarebbe il primo “colpevole” (!) dell’assoluzione di Calogero Mannino nel “processo staffetta” col rito abbreviato (imputato di aver avuto paura), un libro con la pubblicazione delle registrazioni di incredibili, terribili telefonate dell’Inquilino del Quirinale con Mancino, ecc. ecc., si è rimangiato tutto o quasi. Lui le registrazioni non ce l’ha, non ci sono più, sono state distrutte, a seguito della sentenza della Corte costituzionale (intervenuta dopo che lui, Ingroia, aveva lasciato la Procura, ma lui lo “garantisce” lo stesso). Farà solo un romanzo, su un caso immaginario, ma non tanto, sembra voler ribadire, che non si capisca bene che quella è la verità e che il “Presidente” di cui si parla è proprio Giorgio Napolitano. E si lamenta perché il ministero ha mandato gli ispettori a Palermo per assicurarsi dell’avvenuta distruzione delle bobine. Che razza di insinuazioni nei confronti di lui, che, benché non più magistrato, è un “uomo di legge”!

Furbetto questo Ingroia ed anche un po’ (mi si consenta) sciocchino. Che pensa di ripararsi dietro un dito di una bugia “romanzata”, dopo aver proclamato che il romanzo è tale per modo di dire, forma scelta solo per “difendersi”! Eh già. Un romanzo. Tutto sommato siamo abituati a cose anche peggiori. Invece che a bugie che diventano romanzi per prudenza di un bugiardo, abbiamo spesso romanzi che diventano verità perchè il “giudicato” di un magistrato: “Pro veritate habetur”, come dicevano i romani. Si fanno “romanzi giudiziari” a spese e sulla pelle dei cittadini.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:19