Sicilia: scandalo di una bancarotta dimenticata

Tra qualche giorno uscirà dl carcere Totò Cuffaro, già presidente della Regione Sicilia, condannato a sette anni per una telefonata che, bistrattata, stiracchiata, integrata, interpretata, è stata considerata dagli austeri magistrati antimafia di Palermo (e della Cassazione) un “concorso esterno in associazione mafiosa”. Avrebbe informato un Tizio (che... “necessariamente” avrebbe informato Caio) che era “indagato”.

Oggi al posto di Cuffaro c’è Rosario Crocetta, più o meno del Partito Democratico, che stava per suicidarsi perché era stata diffusa la notizia di una sua telefonata con un suo amico medico, in cui sarebbero stati “bestemmiati” i nomi di due icone, una vittima della mafia ed una viva erede dell’aureola di quella. Si salvò perché dalla Procura di Palermo partirono ben quattro “progressive” dichiarazioni che lo informarono che quella telefonata non era stata intercettata, anzi, non c’era stata, ecc. ecc..

Crocetta non ha mai pensato, invece, di suicidarsi per aver portato la Sicilia al baratro dell’insolvenza e della bancarotta (malgrado il regime economico-fiscale di privilegi per l’autonomia “speciale” dell’Isola)? Una bancarotta dell’amministrazione regionale (con un buco di un miliardo e quattrocento milioni di euro) cui fa riscontro la miseria in cui permane la Sicilia, regione con un elevatissimo potenziale di ricchezza.

Crocetta sforna in continuazione nuove Giunte. Siamo al “Crocetta quater”, anzi, al “quater bis”. L’Antimafia d’affari, con gli industriali “antipizzo” che cacciano da Sicindustria gli imprenditori più disgraziati che il “pizzo” sono costretti a pagarlo ed a subire le situazioni di monopolio da loro così ottenute, tutti, o quasi, concessionari di servizi dalla Regione (che ad alcuni ha, in pratica, regalato letteralmente le imprese di cui sono titolari), sostiene questo bel campione, gli fa da spalla e lo fa applaudire. I “Sicindustriali” sono stati e sono la colonna portante della baracca politica di Crocetta, hanno in pugno la stampa (clamorosi episodi di inspiegabile silenzio su fatti che altrove avrebbero riempito pagine e pagine di giornali ne sono la prova). C’è una saldatura, tra l’”Antimafia demenziale” di un gruppetto di fanatici scimuniti, con un seguito di babbei e di furbastri e l’“Antimafia di Affari”, il vero “Terzo Livello” mafioso, che strangola la Sicilia più della mafia della lupara. Questi ineffabili industriali antimafia, “munnizzari”, gestori di discariche fuorilegge, di impianti idrici, di corsi di “formazione professionali”, taglieggiano la Sicilia, facendo pagare prezzi fino a quattro volte quelli degli analoghi servizi pagati dai cittadini in altre Regioni.

La Magistratura, che si trastulla col processo per la “trattativa”, pare non abbia nulla da rilevare (salvo ad assicurare l’inesistenza di quella certa telefonata) nei confronti di Crocetta. Quanto ai “Sicindustriali”, solo qualche arresto, qualche indagine. Ma anche episodi tipici, come quello dell’arresto del sindaco di Siculiana con vari impiegati, e con il comandante dei vigili ecc., che avevano “intralciato”, cercando di far rispettare le leggi, il vicepresidente “munnizzaro” di Sicindustria, gestore della megadiscarica ammorbante fuorilegge di Siculiana-Montallegro, avendo intuito, con un bagliore di acume investigativo, che ciò facevano per poter, poi, “esigere il pizzo”. Tutti, poi, assolti. Ma i pacchi di denunzie contro l’“industriale-vicepresidente” di Sicindustria Antimafia, affidati allo stesso Sostituto, sonnecchiano beatamente nei cassetti della Procura di Agrigento.

Il putridume dell’Amministrazione Crocetta, la più “antimafiosa” che si sia avuta in Sicilia, ed anche la più catastroficamente inefficiente, il disastro economico-sociale che ha provocato anche con false “riforme” (le trasformazioni del nome delle Provincie in “liberi Consorzi dei Comuni”, che non sono consorzi, né sono liberi e con la quale sono stati addirittura semplicemente soppressi tutti i comuni delle provincie di Palermo, Messina e Catania) è disastro di proporzioni tali che la proposta di Pietrangelo Buttafuoco, singolare giornalista di estrema destra, convertitosi all’islamismo (sciita) di abolire lo Statuto di Autonomia e commissariare la Regione Sicilia è oggi la più ragionevole, chiara ed efficace che sia stata fatta.

Ma bisognerebbe “commissariare” anche la magistratura siciliana. E non per il caso Saguto (che non è una bazzecola e non può essere del tutto isolato), ma per il completo fallimento del modello di “giustizia di lotta” che in Sicilia trova le sue espressioni più clamorose e pericolose. Nessuno lo può fare e nessuno lo farà. Il pericolo più grande è quello costituito dal fatto che la gente finisca per accorgersi che la mafia, tirata sempre in ballo a proposito ed a sproposito, oramai ridotta a poco più delle solite organizzazioni criminali ovunque presenti, in tutto il mondo, non è poi il peggio di quanto incombe sulla Sicilia. Un’eventualità pericolosa perché comporterebbe altre conseguenze assai gravi nel tessuto sociale dell’Isola. E, soprattutto, perché, in certo senso, è la verità.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:35