Ordine degli avvocati: violenza sulle donne

Lo scorso 25 novembre, in occasione della giornata internazionale contro la violenza subita dalla donna, si è svolto presso il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma il convegno formativo “Ti amo da morire… Amore o possesso?”. Un convegno formativo perché, oltre a permettere agli avvocati di raccogliere punteggio per la formazione obbligatoria, ha soprattutto permesso un’approfondita disamina psicosociale. È inutile sottolineare quanto la violenza rappresenti un qualcosa con cui quotidianamente sono chiamati a confrontarsi tutti coloro che orbitano nell’ambito legale. Tantissime sono le forme di violenza ed altrettanti i soggetti che la subiscono. Molteplici sono anche le forme di violenza inflitte alle donne di tutto il mondo per tradizioni religiose e culturali, per sadismo, per ignoranza e pochezza umana.

Oggi più di ieri è importante arginare il fenomeno, alla luce delle tradizioni che alcune comunità religiose stanno introducendo in Europa. Basti pensare a pratiche chirurgiche legate ad un certo Islam come l’infibulazione, ma anche ai processi che alcune donne subiscono su suggerimento di alcuni imam. Allora ci si chiede come si possano comminare pene corporali a mogli e figlie su suggerimento di un capo religioso? Soprattutto, come un Paese democratico possa accettare che in molti nuclei familiari musulmani si consumino queste pratiche, che vanno dalle frustate alle lesioni passando per il sequestro di persona e la negazione di cure vitali. Quest’ambito spalanca la porta su uno dei più diffusi costumi della nostra democratica Italia, ovvero la violenza subita della donna all’interno delle mura domestiche. Cioè all’interno della casa, di quello che dovrebbe essere il nido, il rifugio dal mondo esterno, la protezione dall’ignoto. E qui la differenza è sottile: la donna musulmana sa che dovrà subire e tace, la donna italiana viene colta da violenza improvvisa e ugualmente denuncia di rado. Il carnefice, l’aguzzino, in entrambi i casi non è un estraneo, ma un componente della famiglia: il padre, il fratello, il figlio e, sempre più spesso, il compagno di vita. È forse un tipo di violenza più vigliacca di altre, perché perpetrata da chi illude e disillude. Per la donna è difficile sottrarsi all’aguzzino per vari motivi, che vanno dallo psicologico all’ economico, dal sentimentale al morale passando dal religioso. Oggi, alla luce delle sempre più radicate usanze islamiche, necessiterebbe che le forze dell’ordine potessero intercettare certi “consigli” dell’imam. In modo da intervenire prima che certe pratiche possano portare alla morte mogli e figlie.

Di questo si è discusso al convegno organizzato dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati con l’ausilio dell’associazione Animec. I relatori, magistrati, criminologi (tra cui la scrivente Stefania Cacciani, nella foto), avvocati come la presidente dell’Animec, Deborah Impieri (avvocato specializzato nel settore) e giornalisti  concordavano su come la violenza sia oggi attanagliante. “Ti amo da morire. Amore o possesso?” è anche il titolo del libro presentato in anteprima nel corso del convegno, è un  eBook ma è anche in versione cartacea presso la libreria “Claudiana” di Roma (Piazza Cavour). Al convegno del 25 era presente in sala Carolina Rey, noto volto televisivo, che ha ricordato come ogni tre giorni in Italia una donna viene uccisa per mano del proprio partner. Presente anche lo scrittore e giornalista de “L’Opinione”, Ruggiero Capone. Il Dipartimento per le Pari opportunità ha pensato di istituire, vista la crescente fenomenologia, la figura di un avvocato specializzato nella difesa femminile. Rashida Manjoo, relatrice speciale delle Nazioni Unite sulla violenza contro le donne, ha  parlato tempo fa di femminicidio pronunciando queste parole: “È la prima causa di morte in Italia per le donne tra i 16 e i 44 anni”.

Femminicidio è un neologismo ed una brutta parola: significa la distruzione fisica, psicologica, economica e istituzionale della donna, in quanto tale. È un termine coniato ufficialmente per la prima volta nel 2009, quando il Messico è stato condannato dalla Corte interamericana dei diritti umani per le 500 donne violentate e uccise nel 1993 nella totale indifferenza delle autorità di Ciudad Juarez, Stato di Chihuahua: cadaveri straziati o sciolti nell’acido, secondo alcune denunce si sarebbero macchiati di questi orrori anche uomini delle forze dell’ordine. In Italia siamo lontani da questi livelli. Però si tratta di delitti trasversali a tutte le classi sociali. Stefania Noce, femminista del movimento studentesco, è stata uccisa a Catania dal compagno laureando in psicologia che lei diceva di amare “più della sua vita”. Rashida Manjoo  ha detto che “la violenza domestica si rivela la forma più pervasiva che continua a colpire le donne in tutto il Paese, come confermano le statistiche: dal settanta all’ottantasette per cento dei casi si tratta di episodi all’interno della famiglia”.

Ma c’è chi sta peggio. Dieci Paesi del Sudamerica, a cominciare dal Messico. I numeri sembrano quelli di una strage. Nel 2010 le donne uccise in Italia sono state 127: il 6,7 per cento in più rispetto all’anno precedente. Dati in continua crescita dal 2005 ad oggi, e solo dal 2006 al 2009 le vittime sono state 439 in Italia. Secondo l’associazione Casa delle donne di Bologna, si tratta di “un fenomeno inarrestabile”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:24