Cop21: l’innovazione proteggerà l’ambiente

martedì 1 dicembre 2015


È appena iniziata a Parigi la “Cop21”, l’appuntamento annuale delle Nazioni Unite col clima e i buoni sentimenti. Come negli anni precedenti, anche questa volta è l’ultima occasione per salvare il mondo; e, come nel passato, i Paesi aderenti si presentano uniti nelle promesse ma divisi negli impegni concreti. Eppure, rispetto alle scorse edizioni, Parigi porta con sé almeno due novità: una positiva e una negativa.

La novità positiva è che sembra ormai tramontata la volontà di uscire dal summit con un accordo vincolante a livello globale, tale da imporre obblighi sanzionabili di riduzione delle emissioni in valore assoluto e attraverso periodici round di controllo di breve termine. Piuttosto, l’ottimismo che si respira a Parigi è legato a una serie di intese bi o pluri-laterali, assunte dai singoli Stati tra di loro, e più o meno coerenti con l’obiettivo di contenere le emissioni. Il passaggio da un approccio dall’alto a uno orizzontale è senz’altro un elemento positivo, perché lascia più spazio alla concorrenza istituzionale e alla valorizzazione, in ciascun Paese, di quelle che sono le risorse e le strategie migliori per contribuire a mitigare il cambiamento climatico.

Ciononostante, a Parigi si continuerà a parlare in una lingua lontana dal pragmatismo. Ammesso che sia effettivamente necessario uno sforzo coordinato per tagliare le emissioni, la pretesa di guidare tale processo rischia di determinare – come è già stato nel passato – enormi sperperi di denaro pubblico, e al tempo stesso di rallentare o impedire l’innovazione. Lo dicono i fatti: a dispetto delle decine di miliardi di euro che sono state spese su base annuale per i sussidi alle fonti rinnovabili, il maggiore contributo al loro contenimento, a livello globale, è arrivato da una direzione nella quale nessuno guardava: un po’ dalla rivoluzione dello shale gas, un po’ dalla diffusione delle tecnologie digitali. È la distruzione creatrice del mercato, e non la solerzia burocratica, che sta dando il maggior sostegno alla sostenibilità ambientale.

Tutto questo dovrebbe suggerirci che, se vogliamo davvero perseguire la decarbonizzazione di lungo termine dell’economia, allora dobbiamo lasciare che siano gli “spiriti animali” della concorrenza, del progresso e dell’innovazione tecnologica a lavorare per noi. Finché continueremo a pensare che, per salvare il mondo, dobbiamo affidarci all’intervento pubblico nell’economia, è improbabile che riusciremo a sconfiggere il riscaldamento globale. In compenso, è sicuro che affonderemo la libertà economica.

 

(*) Editoriale tratto dall’Istituto Bruno Leoni


di Vladimiro Iuliano (*)