Il burqa alle statue, follow the money

sabato 30 gennaio 2016


Ha certamente ragione chi, come per esempio Vittorio Sgarbi, sostiene che con quel Burqa di Stato sulle antiche statue romane ai Musei Capitolini siamo scesi in basso come non mai (ma no, altre volte è accaduto, a Firenze, a Torino…). Sì, sono ridicole le ragioni esibite dal cerimoniale per giustificare quelle “coperture”. Un’idiozia; tuttavia con allegati inconsapevoli, non voluti, lampi di genio. C’era un modo migliore per spiegare al mondo intero, e a noi stessi beninteso, a che punto può arrivare la codineria e la cupidigia di fare affari da una parte? Abbiamo confermato d’essere degni epigoni di quell’Enrico di Navarra disposto ad andare a messa pur di conquistare il trono di Francia. Si poteva “immortalare” in modo migliore, per il presente e il futuro, quello che sa e può essere un regime spietato e violento i cui affiliati sono animati da un fanatismo cretino e intollerante? Grazie, dunque, al rapporto di “Nessuno tocchi Caino” sullo stato dei diritti civili e umani in Iran; e a chi ha preso l’iniziativa del burqa di Stato per le statue capitoline. Merita a sua volta un monumento: scoperta, naturalmente, con il volto ben visibile e riconoscibile. Non Iran. Uno dei focolai di tensione mondiale (e tensione è termine blando), è il conflitto che oppone il regime di Teheran all’Arabia Saudita; per tanti motivi, non solo quelli sempre indicati (giova chiedersi: il secolare scontro tra sunniti e sciiti è fonte, causa, o piuttosto, pretesto, “giustificazione”?).

L’Arabia Saudita “giustizia” una cinquantina di oppositori, tra cui lo sceicco sciita Nimr al-Nimr. L’Iran protesta: a Teheran viene assalita l’ambasciata saudita. L’Arabia Saudita rompe i rapporti diplomatici. L’Onu prende posizione: Usa, Russia, Cina, Francia, Inghilterra, Angola, Malesia, Nuova Zelanda, Spagna, Venezuela, Egitto, Giappone, Senegal, Ucraina, Uruguay, firmano una mozione di condanna: l’Iran non ha protetto l’ambasciata saudita.

Silenzio sulle condanne a morte. Per queste ultime solo il blando intervento del segretario dell’Onu, Ban Ki-moon. Agli atti c’è solo l’assalto all’ambasciata saudita. Ancora: il comitato consultivo dell’Onu, è presieduto dal saudita Faisal bin Hassan Thad: lui sceglierà esperti e consulenti. Bel paradosso: l’Arabia Saudita è il paese delle decapitazioni, dei trentamila detenuti politici, dei bombardamenti sullo Yemen, del sostegno ai jihadisti in Siria, dei carri armati in Bahrein... Senza nulla concedere all’Iran (anche troppo si è concesso, invece), perché tanta severità con Teheran; e silenzio per quel che riguarda l’Arabia Saudita? Ci possono essere tante “ragioni” di real politik, le si può perfino accettare; si riconosca però che appartengono all’ipocrisia, alla più deteriore ragione di Stato.

Il Military Balance dell’Istituto Strategico di Londra calcola che l’Arabia Saudita spende in armi il 12 per cento del suo Pil: circa 80 miliardi di dollari; Ryad è quarta nel mondo, dopo Washington, Pechino, Mosca. Le forniture più consistenti vengono dagli Stati Uniti: circa 90 miliardi di dollari negli ultimi quattro anni. In questo Obama non è molto diverso da Bush. Il ministro della Guerra saudita Mohammed bin Salman vola in missione a Mosca: per ammorbidire il sostegno di Putin al siriano Assad e al regime degli ayatollah iraniani, storici nemici dei sauditi, ha staccato un assegno di 10 miliardi di dollari sotto forma di investimenti in Russia. Mosca saprà come e quando ricambiare.

L’Iran investe almeno 30 miliardi ogni anno in armi. Cifra in costante aumento dal 2012, da quando cioè interviene in Siria e Iraq. Sono i pasdaran a controllare le maggiori industrie belliche iraniane, e in generale gli interessi che ruotano su questa lucrosissima industria. Ecco: per cercare di capire quello che accade, sicuramente è utile sapere di wahabismo, di fanatismo sciita e sunnita. Aiuta anche una vecchia, buona regola: follow the money.


di Valter Vecellio