L’accordo di Schengen e il futuro dell’Europa

mercoledì 3 febbraio 2016


Esiste una immagine che ha segnato l’inizio di una nuova epoca ed è entrata a fare parte dell’immaginario collettivo. Una fotografia bella e indimenticabile ritrae il presidente francese Mitterrand che tiene per mano il Cancelliere Kohl sul ponte che sovrasta la Mosella, dopo che era stata commemorata dai due grandi leader la tragedia della Prima guerra mondiale a Verdun. Fu proprio in quel giorno, durante una cena, che i due leader europei decisero che fosse necessario abolire la frontiera interna fra la Francia e la Germania, onde favorire il processo di integrazione politica in Europa. L’accordo prese il nome di un villaggio del Lussemburgo, Schengen, poiché si tratta di una piccola cittadina di quattromila abitanti adagiata sulle rive della Mosella, intorno a cui vi sono i vecchi confini nazionali di alcuni Paesi europei.

L’accordo di Schengen, con cui sono state abolite le frontiere interne tra le nazioni Europee, in un secondo momento confluì nel trattato di Amsterdam, il quale venne approvato agli inizi degli anni Novanta. Come la retorica europeista ripete instancabilmente sia l’accordo di Schengen, che stabilì il diritto per i cittadini europei alla libera circolazione nel Vecchio Continente, sia la nascita della moneta unica, sono divenuti i due fondamenti dell’Unione europea, che politicamente, come è giusto osservare, è rimasta incompiuta.

In questo momento storico, sia per il fenomeno della immigrazione di massa che crea problemi alle nazioni europee, sia per le minacce alla sicurezza comune dovute al pericolo del terrorismo islamico, forte è la tentazione di sospendere la applicazione dell’accordo di Schengen, ristabilendo le frontiere nazionali e, di fatto, limitando il diritto alla libera circolazione per i cittadini europei. Se questo accadesse, si avrebbe la fine e la dissoluzione della Unione europea e naufragherebbe il sogno di approdare alla nascita dello stato federale europeo.

Secondo un rapporto redatto dalle Nazioni Unite, in questo momento nel mondo vi sono 59 milioni di rifugiati, molti dei quali desiderano ritornare nei Paesi d’origine. Alla luce di questo dato impressionante, è opportuno considerare i cambiamenti storici che sono avvenuti in questi anni, dal periodo in cui entrò in vigore l’accordo di Schengen. Quando questo accordo sancì la libera circolazione delle persone sul vecchio continente, mediante la abolizione dei confini e della frontiere interne, non vi erano le sfide che la Comunità europea si trova a fronteggiare in questo momento storico. L’economia negli anni Novanta cresceva in modo vigoroso, il fenomeno della immigrazione e dei rifugiati politici, in fuga da Paesi in guerra, non si era ancora manifestato, la sicurezza delle democrazie occidentali ed europee non era insidiata e minacciata dal terrorismo e dai conflitti tra le diverse civiltà. Questo significa che l’accordo di Schengen venne pensato ed elaborato in un tempo diverso da quello in cui viviamo attualmente. Ebbe un significato simbolico, poiché era rivolto a superare le rivalità e le diffidenze che per oltre un millennio e mezzo, dalla fine dell’Impero Romano di Occidente, avevano separato i popoli europei e spinto alcuni di essi nel terribile baratro di conflitti e guerre feroci e truculente. Al recente vertice di Amsterdam tra i ministri degli interni si è avuta la netta sensazione che a prevalere sia stato il pessimismo, sicché l’accordo di Schengen viene dato già per morto. Addirittura i Paesi del nord Europa sarebbero in procinto di sospenderne la applicazione per due anni. Il quattro febbraio a Londra è previsto un vertice europeo per individuare una soluzione efficace per i rifugiati, mediante la creazione di aree protette sia in Libia sia in Turchia. In ogni caso, mai come in questo momento è necessario ricordare che, quando Mitterrand e Kohl pensarono di abolire la frontiera interna tra la Francia e la Germania, avevano compreso la necessità ineludibile di dar vita alla creazione di una frontiera esterna comune. Questo significa, visti i cambiamenti storici che in questi anni sono avvenuti, che occorre modificare l’accordo di Schengen per adeguarlo alle sfide esistenti in questo momento storico.

Pertanto è giusto riconoscere che la difesa del confine esterno europeo deve rappresentare un bene pubblico della intera Unione, sicché spetta a questa garantirne il presidio e la sicurezza. Questo impone la necessità di creare un corpo di polizia Europeo a cui affidare il compito di presidiare e difendere il confine esterno dell’Unione europea. In tal mondo diventerebbe più efficace il coordinamento tra i Paesi Europei per controllare i flussi migratori e individuare i terroristi, che potrebbero mettere a rischio la sicurezza del Vecchio Continente. Inoltre, con questa decisione, l’Ue darebbe il segnale e la dimostrazione di essere una entità politica in grado di rivendicare la tutela e la difesa comune del suo vasto territorio, che racchiude ventisette nazioni. In questo momento spetta alla classe dirigente Europea persuadere la pubblica opinione che la dissoluzione della Unione europea in futuro creerebbe danni immensi e avrebbe conseguenze negative. Si spera che la classe dirigente europea sappia tenere presente l’interesse generale evitando di anteporgli quello elettorale legato alle scadenze che a breve chiameranno alle urne in vari Paesi del Vecchio Continente gli elettori e i cittadini. È più importante pensare alla sorte della Europa, ancora in divenire e di là dall’essere costituita, che al futuro politico del Presidente Hollande e della Cancelliera Merkel. Infatti non è plausibile rinunciare a Schengen e a ciò che significa storicamente, solo perché la pubblica opinione è preoccupata e impaurita di fronte a eventi complessi come quello della immigrazione, dei rifugiati politici e del terrorismo islamico. Una classe dirigente coraggiosa e illuminata, che sappia compiere le scelte di governo giuste e necessarie, deve modificare il trattato di Amsterdam, in cui è confluito l’accordo di Schengen, preservando l’Unione europea.

Lo stato nazionale, visto che è riemersa in modo scandaloso la vecchia retorica nazionalista, soprattutto in nazioni come la Polonia e l’Ungheria, non è più in grado di fronteggiare i problemi di questo momento storico come la crisi economica, le diseguaglianze, la questione ambientale, l’immigrazione, la sicurezza collettiva, la difesa della democrazia, il problema della iniqua distribuzione della ricchezza nel tempo della globalizzazione. Al di fuori dell’Unione europea, i Paesi del Vecchio Continente sarebbero condannati all’irrilevanza politica e ad una decadenza economica ineluttabile.


di Giuseppe Talarico