Liberalismo in Italia per avere sviluppo

Libertà non vuol dire che siamo tutti uguali, anzi. La libertà rende possibile, favorendolo, il progresso e non si occupa delle diseguaglianze. Il sistema politico più vicino alla libertà è la democrazia liberale, non il socialismo che, nato con la rivoluzione francese, privilegia l’eguaglianza che contrasta e comprime la libertà. Quest’ultima difatti si fonda sulle differenze, e da queste crea e produce, dà progresso. La democrazia liberale coniuga democrazia e liberalismo, cercando di essere sia liberale che egualitaria. L’etica protestante propria di Paesi quali gli Stati Uniti d’America o la Gran Bretagna vede nella ricchezza la benedizione divina che conduce al progresso. La religione cattolica delle società europee figlie della rivoluzione francese e del socialismo che ne è derivato è sostanzialmente egualitaria e rallenta la libertà e il progresso.

Winston Churchill, liberale, sosteneva che l’eguaglianza delle società di socialismo reale era nella povertà, si trattava cioè di società in cui ci si distribuisce egualitarmente, cioè tra tutti, la miseria. Differenze sociali troppo pronunciate producono conflitti sociali che compromettono spazi di libertà. È solo con la libertà tuttavia che si realizza l’eguaglianza di fatto, sociale e dove non c’è libertà non c’è neanche eguaglianza. La libertà va cioè temperata con la giustizia sociale che smussa le diseguaglianze in tal modo compromettendo meno sia le libertà che le ingiustizie. Il socialismo reale, livellando e piallando tutto, viola e comprime, di fatto nega l’uomo, la sua natura e la libertà. Dunque bisogna muoversi in Italia nell’alveo della democrazia liberale e nell’equilibrio di questa con la giustizia sociale senza mortificare mai la libertà e tantomeno i meno abbienti. William Beveridge ha conciliato, nel liberalismo inglese, libertà e giustizia sociale. Quando le diseguaglianze sociali hanno superato il livello di guardia, per un eccesso di socialismo laburista, è andata al governo Margaret Thatcher che ha ripristinato l’equilibrio così come ha fatto Ronald Reagan negli Stati Uniti che sono così diventati la prima potenza mondiale.

L’Italia del vetero comunista Napolitano è stata gettata nel socialismo reale di matrice sovietica mentre avrebbe dovuto proseguire e percorrere, nel segno della democrazia ovvero con elezioni democratiche, la propria evoluzione nel senso liberale cioè liberando la società italiana dagli eccessi di vincoli che condizionano il nostro sviluppo, il nostro progresso e la nostra, le nostre libertà. Con l’operazione Mani pulite la sinistra comunista ha solo creduto nei primi anni novanta di aver avuto il potere a portata di mano ma sono dovuti passare vent’anni di governo di Silvio Berlusconi votato dalla maggioranza degli italiani perché con il colpo allo Stato di Giorgio Napolitano dalla Presidenza della Repubblica coronasse la sua ambizione di dare socialismo reale comunista a tutto il popolo italiano imponendo all’Italia dal 2011 governi mai eletti e contro democrazia quali sono stati e sono il Napolitano uno, cioè il governo di Mario Monti; il Napolitano due, cioè il governo di Enrico Letta; ed il Napolitano tre, il governo di Matteo Renzi che vuole illiberalmente consentire a una sola forza politica con appena il 20 per cento dei consensi di governare senza controlli e senza contrappesi.

L’Italia ha bisogno urgente di riprendere il cammino di libertà, ricominciando dal voto democratico e ciò per riformare e modernizzare se stessa in senso liberale, meno tasse con la flat tax, eliminazione delle tasse sulla casa, dell’imposta di successione, l’Irap, l’Imu agricola, le autorizzazioni preventive, meno Stato, più aiuto a chi ha bisogno, sicurezza. Vale a dire minore livello di tassazione, riduzione del carico fiscale, limiti al potere dello Stato, mezzi di comunicazione e di informazione liberi e non irregimentati come è oggi da Renzi, conversione e privatizzazione della burocrazia oggi pubblica inefficiente e pervasiva, separazione delle carriere dei giudici quale primo passo verso la privatizzazione della giustizia italiana e la riconduzione della magistratura ai principi propri di ciascuna categoria professionale comune quali il rispondere di ciò che si fa e il licenziamento, cultura aperta al mercato, sindacati anch’essi “di mercato”, generosità e altruismo al posto della società qual è oggi quella italiana e cioè riversa su se stessa tronfiamente invidiosa ed egoista, e che distribuisce sostanzialmente a se stessa la miseria.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:56