“Ti racconto la politica”

sabato 20 febbraio 2016


Acume e salamelecchi (Capitolo 25) Nel mito del “Vaso di Pandora”, Prometeo (colui che pensa) ed Epimeteo (colui che pensa in ritardo) ci raccontano come gli irruenti abbiano ricoperto di disgrazie il mondo; la politica popolare non dovrebbe più seguire alcun Epimeteo.

Molta gente confonde il confronto dialettico con la polemica e si crede forte perché non perde occasione per essere soffocante e maleducata; il linguaggio cosiddetto “concreto” che ne deriva, è in realtà l’incompetente semplificazione dei saccenti. L’intelligenza può appartenere a buoni e cattivi ma, in Italia, sembra che gli ambienti malavitosi e della peggiore politica, ne facciano più uso degli ambienti popolari. Non c’è contesto intollerante e presuntuoso in cui si possa trovare accordo. Nel confronto tra interlocutori “grezzi” e interlocutori “raffinati”, saranno quelli raffinati a governare la situazione; nel confronto tra parti raffinate, vigerà un linguaggio intelligente.

Ci occuperemo del cosiddetto “politichese”, ma potrebbe essere utile non bollarlo, sic et simpliciter, con i soliti luoghi comuni popolari. L’uso dell’intelligenza dà maggiore accesso alla conoscenza ma il linguaggio che non mette in contatto la lingua col cervello, non favorisce scambi utili. Forse, la democrazia è la luce di una società che sa uscire dal buio dell’ignoranza. Il popolo subisce forti vessazioni ma le semplificazioni di cui s’illude, non possono aiutarlo.

Sappiamo da qualche capitolo, che nessun partito è unitario e che le divisioni non avvengono secondo le magnificate dialettiche sulla varietà dei punti di vista, ma per giochi di potere; ciò chiama l’intelligenza a scegliere atteggiamenti e linguaggi che non procurino litigi prima delle soluzioni. Come dicevamo, l’intelligenza può appartenere a tutti ma sembra che in Italia ne facciano più uso gli ambienti eticamente peggiori.

Abbiamo già letto che nei partiti le divisioni si chiamano “correnti”; dal capitolo n. 23, i loro capi sono seduti al tavolino del preordino dei congressi. In genere, indipendentemente dalla dimensione del partito, le correnti sono tre o quattro in tutto. Poniamo che intorno al noto tavolino, siano seduti quattro capicorrente che rappresentano 6mila tessere tirate in piedi come sappiamo. I lavori sono stati avviati tra cordialità e salamelecchi che hanno il fine di avvicinare con lentezza il tema; quindi, dopo un tempo non proprio breve, qualcuno prende la parola e dice: “Vanto la partecipazione democratica e la solidarietà di 2350 generosi iscritti”. Traduzione: “So arraffare più tessere di voi, dunque, comunico l’elenco dei candidati che il congresso eleggerà per me”.

La forma raffinata sottende comunque una sostanza chiara, ma negli ambienti “acuti” si evita la lite e si sanno prendere accordi perfino su questioni criminali, invece negli ambienti popolari si litiga su tutto anche se si discutono temi onesti. In base agli accordi del tavolino, il congresso voterà una lista unitaria o due liste concordate o più liste contrapposte o altro; ne parleremo. Il prossimo capitolo sarà intitolato: “Il mercato delle vacche”.


di Giannantonio Spotorno