Un neogarantismo poco convincente

Non c’è dubbio che da ultimo, a fronte di una riacutizzata propensione all’arroganza del Partito dei Magistrati nei confronti di tutta la classe politica, che significa anche e soprattutto arroganza nei confronti del “Partito della Nazione” e del Governo Renzi, si stia manifestando una certa reazione da quella parte politica.

Una reazione cui non eravamo più abituati, dato che, fin dal suo nascere il Partito Democratico era allineato con i vincitori togati della guerra a Silvio Berlusconi ed al suo sistema politico. Inoltre Renzi sembrava impegnato soprattutto a “tagliare l’erba sotto i piedi” ai grillini, espressione telematica-trinariciuta anche dell’oltranzismo giustizialista.

C’è dunque da domandarsi, senza correre a facili conclusioni, quale sia la reale portata di questo atteggiamento nuovo e, soprattutto, se esso rappresenti realmente una “svolta” (espressione abusata nelle discussioni politiche) o sia il riflesso automatico e, quindi, precario e velleitario delle batoste subite dal renzismo e dal suo sistema “etrusco” di cui la cronaca giudiziaria ci fornisce notizie ad un ritmo che sembra crescente.

Una risposta in ordine alla consistenza ed alla prevedibile durata o precarietà di questa contrapposizione può e deve essere data valutando soprattutto la natura delle contestazioni che i “politici” dell’area renziana oggi fanno ai loro ex amici e “compagni di lotte” togati. Dico subito che il fatto in sé del passato assai recente, in cui la “Sinistra” ha rappresentato, di fatto assai poco di più che la beneficiaria, il prodotto della lunga e variegata battaglia di una Magistratura complessivamente impegnata a demolire la divisione dei poteri ed a perseguire la demonizzazione prima del sistema politico della Prima Repubblica e poi di quello berlusconiano, non è sufficiente a fornire argomenti determinanti per una risposta.

È certo, però, che se in astratto un complesso umano, un ambiente, una corporazione, può cambiare ruolo ed opinione politici e così può mutare l’atteggiamento che altri ambienti debbono assumere verso di essi, è pur vero che anni di “supplenza” politica della Magistratura, di “lotte” spavaldamente manifeste per ottenere risultati politici, con il ricorso al tecnicismo giuridico-istituzionale, per quanto distorto e strumentalizzato, ed anzi proprio perché tale, non passano senza cambiare non solo mentalità, rapporti sociali, propensioni politiche di fondo, ma anche quel complesso di condizioni, di strumenti e di funzioni che, di fatto, nel caso, la Magistratura è venuta “adattando” ed accumulando negli ultimi decenni.

Ora una reviviscenza di garantismo della cosiddetta Sinistra, che un certo ottimismo liberale aveva atteso così a lungo, non ha alcuna consistenza, alcun significato rilevante, alcuna prospettiva che non sia quella di un rapido spegnersi o di una banale ed occasionale strumentalizzazione se non investe non solo in superficie le questioni più appariscenti e discusse dalla gente, ma tutto il sistema che l’apparato ed il partito della giurisdizione hanno creato ed imposto allo Stato ed alla società per poter esercitare il ruolo di cui si torna a sentire il peso intollerabile.

Ora leggere le espressioni del “neogarantismo” di un Renzi, di un Orlando (l’Orlando Penoso!), di un Alfano, di uno dei tanti del “sistema etrusco”, infastiditi o preoccupati dalla “mancanza di riguardo” della Magistratura (che, scopre ora Alfano, “deve combattere i crimini non i governi”!) ci si accorge facilmente che da quella parte il livello ideologico, le conoscenze e le sensibilità per le questioni tecnico-giuridiche fondamentali poste in essere dalle esigenze di un ruolo politicizzato della Magistratura negli anni della loro quasi simbiosi, non è tale da dare consistenza e prospettiva di serietà e di successo nelle singole questioni e nel complessivo confronto con la Magistratura-partito.

Questa gente che oggi dovrebbe darci un ridimensionamento del ruolo politico-istituzionale dei magistrati non conosce, non capisce, non ha il senso dell’importanza di tutta una serie di fatti erosivi delle libere istituzioni, della divisione dei poteri e delle libertà dei cittadini con i quali, giorno dopo giorno la Magistratura, da una parte, si è trasformata in partito- istituzione, dall’altra ha messo partiti ed istituzioni dello Stato in condizione di non saper come reagire.

Solo qualcuno di questi “strumenti” di prevaricazione è noto a questa gente, senza peraltro che ne abbia la capacità di valutarne il peso ed il valore come strumento politico. Il “concorso esterno in associazione mafiosa” è, oltre che “inventato”, reato “aperto”, una fattispecie in bianco disponibile per ogni abuso, che Renzi non si sognerebbe di mettere in discussione. Ma non è, questa che una tra le tante. “L’abuso d’ufficio”, fatto consistere in ogni atto dell’Amministrazione illegittimo o semplicemente sospettabile di essere tale o, magari, inopportuno è un altro strumento di “polizia politica”. Potrei continuare per pagine e pagine. Ma debbo dire che è nella concezione stessa del processo penale che i guasti “strutturali” arrecati alla Giustizia ed alle libere istituzioni sono più complessi, evidenti e pericolosi. E meno avvertiti e discussi da gente come i renziani.

Leggete le nuove “prese di posizione” dell’ex boy-scout e dei suoi sulla giustizia: invano cercherete una presa di posizione sul problema del ruolo istituzionale complessivo della Magistratura, invano una parola di preoccupazione per l’enorme cumulo di poteri che essa, anche e soprattutto per l’incapacità della classe politica, si è accaparrato. Ma ciò che oggi dobbiamo tenere ben presente è che la reviviscenza garantista del “Partito della Nazione” renziana non è solo una espressione di velleitaria ed inconcludente insofferenza per le “mancanze di riguardo”. Sarà forse eccessiva ed un po’ maniacale la mia attenzione, la mia valutazione delle rilevanze del referendum di ottobre, ma non è certo eccessiva l’attenzione per la battaglia politica complessiva che, malgrado tutto, è nelle cose del Paese.

Renzi sa che il suo originario proposito di “tagliare l’erba sotto i piedi” ai grillini oramai ha esaurito le sue possibilità di ulteriore realizzazione. Sa che andiamo alla conta. Sa, soprattutto, che nel Paese, tra la gente, magari in modo confuso ed a volte contraddittorio, nell’ambito del suo stesso partito e del suo elettorato, cresce l’insofferenza per questa politica delegata ai magistrati. Visto che a Sinistra (si fa per dire) c’è poco più da raspollare, che l’oltranzismo giustizialista ha oramai altre espressioni politiche anche tra quelli che saranno, i suoi avversari al referendum, cerca di rendersi “digeribile” con una, tutto sommato, assai poco impegnativa e costosa “fase garantista”, buona anche per le cose ed i guai di casa sua.

Non è per questo che non credo ad una possibile “conversione” garantista di Renzi. Ma è per questo che dico a me stesso e vorrei dire agli altri che non è su questi falsi e strumentali dilemmi di un garantismo d’occasione che si può rompere il fronte del “No” al referendum. Un fronte che, piaccia o no, è ora si delinei e che si muova.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04