Il “rullo compressore” e il liberalismo

Il rullo compressore è un modello al quale alcuni dotti, sapienti e filosofi, più o meno consapevolmente, si sono ispirati per disegnare una ideale società umana. Per i liberali, invece, questo modello conduce al liberticidio ed è l’antitesi della società aperta, irrinunciabile opportunità per dare alla vita un significato personale, unico, non riproducibile e inclinarla alle proprie, individuali, volontà. Da ciò discendono due visioni inconciliabili.

La prima vuole che persino il desiderio di realizzazione individuale in campo economico o affettivo sia visto come peccato e che il peccato sia normato come reato. Si legifera, quindi, con lo scopo precipuo di imporre il modello del rullo compressore, di condurre all’ideale dell’uniformità, della spoliazione di qualsivoglia anelito di diversità, di identità, di individualità, di personalità.

La seconda distingue nettamente reato da peccato e misura la condotta di vita di ciascuno non in termini etici, ma in funzione della lesione eventualmente compiuta ai danni dell’altrui libertà. Secondo questa visione, infatti, ogni individuo è lasciato libero di scegliere una propria personale strada alla felicità ed è consapevole del fatto che di etiche ne esistono miliardi, tante quanti sono gli umani.

L’Utopia di Tommaso Moro prima, con la totale abolizione della proprietà privata e la pianificazione persino dell’età delle nozze (si aboliscono i desideri, consentendo l’esistenza e la regolazione di “bisogni universali” standardizzati), il comunismo e il nazionalsocialismo qualche secolo dopo, sono stati figli della prima visione.

In modo più sfumato rispetto ai totalitarismi, ma pur sempre erede di tale visione, si è più recentemente affermato il modello statalista e dirigista di molti Paesi anche occidentali, come il nostro. Persino modificare la suddivisione dei vani della propria casa, ad esempio, attraverso la ricollocazione delle pareti non portanti e non collaboranti (semplici pareti meramente divisorie), ha bisogno del bollo Leviatanico. Di qui anche la logica giustificazione di dotarsi di un apparato iper-burocratico, che possa da un lato controllare e reprimere le “devianze” rispetto al modello che pianifica e livella le asperità (le individualità) e dall’altro soddisfare l’utilità collettiva (il presunto benessere uguale per tutti). Condizione necessaria al mantenimento di tale apparato è che gli appartenenti a questi Stati siano sottoposti ad una iper- tassazione, che chi produce venga ferocemente vessato. Naturalmente, sotto questo regime, gran parte dei flussi di cassa non vengono impiegati per garantire servizi (fra i quali sane e autorevoli Istituzioni a difesa del Diritto) e infrastrutture adeguate, ma per sostenere una pletora di cosiddetti paladini della moralità unica e della previdenza sociale.

Vivendo in una realtà siffatta, il cittadino diventa suddito, privato di capacità critica, indulgente verso l’idea dominante della ineluttabilità di uno Stato che vede, provvede e lo assiste dalla culla alla tomba. Anzi, l’ormai suddito privato del concetto di libera espressione del proprio pensiero, chiede sempre più e con convinzione l’assistenza paternalistica dello Stato, produce sempre meno: è ormai ridotto a questuante incapace di ergersi da solo e competere nel mercato delle idee e delle opere. Per esso è inconcepibile che lo Stato intervenga a fornire servizi e costruire infrastrutture soltanto nel caso in cui manca il presupposto del profitto per le imprese private concorrenti in regime di pubblica gara. È invece accolta come provvidenziale la costante presenza dello Stato imprenditore e pianificatore: non si tollera il “laissez faire” in economia o nelle scelte e nei costumi di vita.

È incline al parassitismo, detesta l’intrapresa, di qualunque natura essa sia. È spaventato dal rischio e odia il profitto ottenibile grazie al coraggio e alle capacità frutto di studio, di esperienza ed impegno costante. Si cristallizza, così, un regime che comprime le potenzialità produttive e sane e che rappresenta per esse una peste, quella “Peste italiana” che da oltre sessant’anni ammorba il Paese, dettagliatamente descritta dai Radicali.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:48