Una fregatura per la “destra a babbo morto”

Nella Roma governata dai Papi, della “Nobiltà Nera”, del “Generone”, una singolare consuetudine, una sorta di istituzione, rappresentava l’ultima spiaggia per i giovani “figli di famiglia” scapestrati e dissipatori: il “debito a babbo morto”.

Dopo aver esaurito il peculio, venduti i gioielli di qualche zia, impegnati di nascosto vecchie argenterie, quei nobili giovinastri ricorrevano a qualche strozzino e contraevano un grosso debito ad interessi altissimi, da estinguere “a babbo morto”, cioè alla morte del genitore ed al recepimento dell’eredità. Era un gioco d’azzardo, per lo strozzino. Il quale cercava di ridurre il rischio informandosi da servitori, camerieri, parroci e, magari, medici sulle condizioni di salute del genitore, su cui da quel momento piovevano le invocazioni di un sollecito passaggio alla gloria dei cieli da parte di uno o più azzardati strozzini.

C’è tutta una Destra italiana che ha vissuto per anni comodamente all’ombra del Cavaliere e che ad un certo punto ha cominciato a scalpitare per l’attesa troppo lunga di un’eredità di cui essa si sentiva in diritto di esigere la disponibilità, magari perché pressata da metaforici strozzini politici. Mi capitò di fare molti anni fa questo rilievo ad una riunione di “Liberali”, cui dissi che facevano politica “a babbo morto”, facendomi così qualche altro nemico.

Ma è stato Gianfranco Fini, convinto di essere l’erede legittimo e testamentario ad un tempo, a scalpitare per un sollecito “pensionamento” di Silvio Berlusconi. Non è riuscito neppure ad essere l’erede di se stesso. Non ho notizie di parricidi determinati da impazienza del genere nella Roma papale. Ma il parricidio è stato sognato, preparato e più o meno attivamente praticato in buona parte della Destra. L’ultimo, il più meschino e scoperto episodio di questo affannarsi per accelerare una sempre più fantasiosa eredità del Cavaliere, si è avuto con la tristissima storia delle elezioni comunali romane. Che Matteo Salvini non fosse un “bravo figliolo” e che, pur non avendo, magari indebitamenti da sanare con il luttuoso evento, non vedesse l’ora di potersi pavoneggiare nel ruolo di capo carismatico di una ipotetica Destra unita italiana (di modello piuttosto francese) era noto. Che velleità del genere le coltivasse Giorgia Meloni, che giudiziosamente aveva preso le distanze, a suo tempo, da un capo partito Fini, sembrava meno facilmente ipotizzabile.

Il momento, poi, era così evidentemente sbagliato per una simile operazione che è da ritenere che la pressione di qualche forma di strozzinaggio abbia giocato un ruolo nefasto in questa parodia della “politica a babbo morto”. Berlusconi, che di errori ne ha fatti parecchi, quasi tutti consistenti nel fatto di non essere un soggetto, un personaggio, diverso da quello che è e che ha fatto quello che ha fatto, ha però giuocato agli impazienti, in attesa della sua definitiva uscita di scena, uno scherzo feroce e meritato: come quelli di certi genitori di un tempo, venuti a conoscenza delle bramosie degli strozzini creditori dei loro figli, si è procurato in Alfio Marchini un beneficiario di una vistosa donazione (i padri nobili di duecento anni fa lasciavano, per far dispetto ai figli sciagurati, i loro beni alla Chiesa). Marchini, un personaggio tutto romano, di una grossa borghesia spregiudicata, capace di navigare in acque diverse e tra avverse correnti. Non mi è simpatico. Però, pensando al colpo del Cavaliere ed a chi esso è diretto, non posso che dire: “Ben gli sta”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53