Il Primo Maggio<br/>dei miracoli renziani

Abbiamo vissuto un Primo Maggio sotto una pioggia di piccoli piani quinquennali. Alcuni invocati come tradizione dalla trimurti sindacale targata Cgil, Cisl e Uil; altri promessi e annunciati dal grande illusionista al timone di un Paese sempre più stordito dalla sua propaganda. Alle solite richieste dei primi, in stile botte piena e moglie ubriaca, per un immediato default dell’Italia con poderose dosi di spesa corrente per tutti, ha risposto un Matteo Renzi in grande spolvero, convocando una riunione straordinaria del Cipe (Comitato interministeriale per la programmazione economica) proprio nel giorno in cui si celebra l’apoteosi del lavoro quale diritto e non, come pensano alcuni impresentabili liberali compreso il sottoscritto, preziosa opportunità e conquista per ogni singolo individuo.

Sta di fatto che con la sua mossa ad effetto il Presidente del Consiglio ha cercato di rubare la scena a chi fa da sempre del Primo Maggio una vetrina per la propria bottega politica o sindacale. Nello specifico, il Premier ha voluto raschiare il fondo di un barile ridotto oramai ad un colabrodo, annunciando un altro mucchietto di miliardi da gettare nell’immensa fornace della spesa pubblica.

“Domenica 1 maggio – aveva scritto Renzi nella sua eNews del 27 aprile – onoriamo la Festa del Lavoro non solo con le cerimonie ufficiali ma con un Cipe straordinario che stanzierà 2,5 miliardi di euro sulla ricerca e un miliardo di euro sulla cultura”. E proprio come le profezie che si auto- avverano, il leader indiscusso dei rottamatori ha mantenuto la promessa. Con una attenzione particolare al Mezzogiorno - grande serbatoio di consensi per chi usa i quattrini degli altri con molta disinvoltura - il Premier ha etichettato il primo stanziamento con un altisonante Piano nazionale della ricerca il quale, proprio in ossequio agli omologhi progetti in vigore nelle repubbliche dei soviet, durerà cinque anni. Quanto poi al miliardo previsto per la cultura, già intervenendo alcuni giorni addietro in quel di Napoli alla seconda edizione dei cosiddetti Stati generali del Turismo, altra passerella propagandistica creata dai renziani in stile Leopolda, il Presidente del Consiglio aveva promesso un poderoso intervento per restaurare e mettere in sicurezza un lungo elenco di musei, edifici storici e siti archeologici. Come riporta L’Unità, giornale molto allineato (soprattutto dopo aver ricevuto nel 2015 un colossale finanziamento di 107 milioni di euro dal Governo), quelli che seguono sarebbero solo alcuni dei “principali progetti annunciati il Primo Maggio: i Grandi Uffizi a Firenze, l’ampliamento di Pompei che aumenterà l’area visitabile degli scavi, a Roma l’Arena del Colosseo, a Milano la Grande Brera, l’ampliamento del Museo delle Migrazioni a Genova, a Napoli il Reale Albergo dei Poveri, l’ampliamento dell’area della Reggia di Caserta, il recupero della Reggia di Carditello”.

Ora, ci sta anche bene che si spendano i quattrini del contribuente in imprese che mirino quanto meno a frenare il catastrofico degrado dei nostri beni culturali, cercando nel contempo di rivitalizzare la polverosa ricerca pubblica. Tuttavia, come la nostra piccola riserva indiana di incalliti liberali sostiene da molto tempo, senza una sostanziale riqualificazione e riduzione di una spesa pubblica abnorme ed inefficiente, la coperta per qualunque intervento statale, per quanto meritorio possa sembrare, risulterà sempre maledettamente corta. Da questo punto di vista i 3,5 miliardi ufficialmente stanziati dall’Esecutivo dei miracoli per la ricerca e la cultura somigliano, come per tante altre simili imprese renziane, ai famigerati aerei di Mussolini. A buon intenditor poche parole.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:05