Immigrazione: diciamoci la verità

mercoledì 4 maggio 2016


Dobbiamo dirci la verità: in tutte le guerre del XX secolo che l’Italia ha combattuto (incluse quelle cosiddette di indipendenza) non abbiamo vinto una battaglia significativa. In molti casi abbiamo scelto la parte sbagliata e provveduto in corsa a saltare il fosso. In questo modo ci siamo assicurati uno strapuntino sul carro dei vincitori ma perso l’occasione di farci rispettare perché affidabili e coerenti. E i vincitori hanno finito per avere su di noi la stessa idea degli sconfitti. Il prezzo è un Paese di guelfi e ghibellini che tra l’altro ha abortito la rivoluzione comunista e vissuto nel Patto Atlantico col più consistente e longevo Partito Comunista d’Europa.

Dopo la guerra il saltafosso si è raffinato in trovate degne della miglior furbizia borbonica. Particolare sfoggio ne abbiamo fatto a partire dal 1985 per contenere il terrorismo (prima palestinese poi islamico) quindi l’immigrazione (prima dall’Africa ora dal Medio Oriente e dal Nord Africa). La nostra furbizia è stata tollerata perché faceva comodo ma quando l’immigrazione è divenuta invasione ed il terrorismo indigeno sono cominciate puntualizzazioni e richiami.

Intendiamoci il Nord Europa ha sempre malcelato che l’Italia (insieme a Spagna e Grecia) costituisse l’anello debole della Comunità e che con riguardo all’immigrazione dovesse funzionare da spiaggia libera per gli sbarchi. Ma i nostri politici sono talmente consapevoli della pazienza (rassegnazione?) italica da infischiarsene delle proteste e non hanno mai preso in considerazione il rischio che l’accoglienza buonista potesse rendere le popolazioni europee xenofobe e oltranziste. Ed il terrorismo stragista.

Il nostro ministro dell’Interno è un anno che va in televisione a sostenere che “l’Italia salva vite” perché nel “Mare Nostrum nessuno deve morire”. Salvo correre a Bruxelles per battere cassa a favore di Frontex, la missione che avrebbe dovuto essere ma non è stata per nulla “comunis”. In ogni caso i soldi li hanno visti solo molte cooperative più o meno trasparenti concessionarie dei Car. Questi Car sono zone franche nelle quali ogni immigrato riceve cinque euro al giorno e le cooperative/centri sociali concessionari oltre trenta euro al giorno per ogni immigrato!

“L’Italia è un Paese di transito e la maggior parte degli immigrati vuole raggiungere il Nord Europa, la Germania in particolare” non si è stancato di rimarcare fino a un mese fa il Governo italiano ai cittadini preoccupati. Vero. Ma adesso l’immigrazione è diventata antieconomica politicamente per i Paesi dell'Europa del Nord (fino ad ora interessati a scremare dalla moltitudine i laureati e gli adatti a lavori specializzati) e l’Italia si trova incastrata tra la scelta di nuovi slogan o mettersi di traverso. Restia come d’uso a posizioni chiare per ora continua a fare la furbetta del quartierino. “Noi salviamo tutti ma non possiamo identificarli (altrimenti possono restare in Italia) perché per legge se si rifiutano non possiamo costringerli”. Poi complici la strage di Parigi e quanto accaduto all’aeroporto di Bruxelles la situazione è precipitata.

In realtà lo scorso giugno erano arrivati all’Italia i primi richiami dell’Ue per il mancato controllo delle frontiere esterne. Ma abbiamo fatto orecchie da mercante. Quando però sono seguite accuse esplicite di violare il trattato di Schengen (per mancata registrazione degli immigrati) siamo corsi ai ripari. Abbiamo aperto un paio di hotspot e varato in fretta una legge per l’identificazione forzosa degli immigrati renitenti ma il Nord Europa ha capito che erano specchietti per le allodole e sono passati ai fatti.

A luglio la Francia ha chiuso la frontiera di Ventimiglia costringendo un centinaio di immigrati a bivaccare sul versante italiano della scogliera che costeggia la strada. Nel contempo - per far comprendere meglio cosa intendesse - ha rinchiuso i migranti verso il Regno Unito in un area a ridosso dell’Eurotunnel ferroviario, quindi ne ha iniziato lo smantellamento lasciando cadere il silenzio sulla sorte di chi vi dimorava. Poco dopo, a dicembre, è divenuta ufficiale l’accusa contro l’Italia di non saper né voler controllare i flussi migratori ed è scattata la procedura europea di infrazione. Se sia stata coltivata o meno lo sapremo ma certo abbiamo avuto conferma che il Belpaese è ritenuto la sala d’aspetto per chi vuole entrare in Europa e che di blocco di partenze e rimpatri nessuno parla seriamente.

Ciò nonostante al Governo italiano non passa affatto per la mente che l’intero Paese possa diventare la Lampedusa d’Europa. In compenso i fatti hanno convinto la criminalità organizzata (tale perché previene) ad inaugurare la rotta balcanica: un tratto di mare breve e poco sorvegliato e un gruppetto di Paesi di transito ritenuti addomesticabili. Ma è stato un errore e non solo della criminalità organizzata. In due mesi i Paesi a nord della Grecia hanno fatto capire che quando parlavano di indisponibilità facevano sul serio. I loro controlli sono diventati incanalamenti quindi cancelli. L’Unione europea s’è indignata ma solo a parole perchè la Germania si è servita dei paesi balcanici per assicurarsi (con i soldi Ue) una “Nazione Muro”, la Turchia, e poi ha lasciato che incanalamenti e reti fossero rinforzati. Ed ora solidarizza con l’Austria che chiede di controllare gli immigrati nel nostro territorio ma con la sua polizia!

La riapertura della rotta libica è questione di settimane, tanto più che è molto pericolosa per i migranti (che rischiano di affogare) e poco per chi la gestisce (gli scafisti o si squagliano prima dello sbarco o si confondono con i passeggeri); per l’Italia l’impatto potrebbe essere devastante. Qualche settimana fa Kimico, un’amica di famiglia giapponese che vive a New York, mi ha raccontato la storia della sua famiglia. Prima dell’ultima guerra suo nonno era un imprenditore di medio livello dopo la guerra il padre ne ereditò l’attività ormai azzerata. Ma gli Usa per evitare che la sconfitta e i morti del Giappone diventassero umilianti al punto da fomentare disordini, compensarono il suo disarmo concedendo numerose esclusive su marchi e prodotti della loro industria nazionale agli imprenditori giapponesi. Al padre di Kimico fu offerto McDonald's ma declinò optando per il bowling (all’epoca la ristorazione non era attività decorosa); con i ricavi intraprese un’attività agricola alle Haway ed oggi la sua famiglia è una delle maggiori produttrici di papaya e le esporta in Giappone ed altrove. Alle Haway possiede un numero indefinito di ettari di terra.

Voglio dire che il Giappone poteva risparmiarsi di intervenire nella Seconda guerra mondiale contro gli Usa per il controllo del Pacifico, gli sarebbe bastato inviare i propri imprenditori alle Haway a fare quello che sanno fare meglio: lavorare e produrre, sfruttando le loro capacità organizzative ed il senso del dovere. Quello che seguì a quella scelta di politica estera Usa fu chiaro nei primi anni Settanta quando lo Yen volava e i giapponesi si confermarono un alleato riconoscente politicamente ed affidabile imprenditorialmente. La Germania non fu da meno. Utilizzò gli aiuti americani per ricostruire l’industria pesante e automobilistica e puntare alla riunificazione.

In Italia invece l’Esarchia partitica partorì una Costituzione con lo sguardo rivolto al passato anziché al futuro. I governi democristiani con l’assenso del Partito Comunista Italiano adottarono una riforma agraria con un’unità di misura minima irriverente per le esigenze produttive ed un regime urbanistico che ha consentito i peggiori abusi edilizi. Quindi scelse di pubblicizzare per legge una serie di diritti e libertà private (lavoro, comunicazione, ecc.) e dare vita ad un’economia mista infischiandosene di chi sosteneva che la presenza pubblica in economia, se ampia e longeva, strozza l’industria privata e la suborna ad un intreccio affaristico che semina corruzione. Alla Germania sono bastati cinquant’anni per riconciliarsi e ricollocarsi al centro della scena politica europea (e qualche spicciolo dell’Ue per il cambio alla pari fra marco occidentale ed orientale). La sua è un’aspirazione genica basata sul senso di superiorità intellettuale, etica e politica rispetto al resto d’Europa. Un’Unione europea cui la Gran Bretagna, per lei, non partecipa. Se del resto - come ha dimostrato Goldhaghen nel suo tanto contestato quanto apprezzato libro - l’antisemitismo fu di tutto il popolo tedesco è altresì vero che lo stesso popolo si sente da sempre nazione di riferimento (per fortuna non più “guida”) di un’Europa unita. I suoi politici del dopoguerra erano però profondamente democratici e scelsero la disponibilità e la collaborazione per indirizzare tutti, nessuno escluso, verso quella Comunità del carbone e dell’acciaio che premiava le risorse delle foreste franco-tedesche.

In quella e in tutte le iniziative che seguirono l’Italia fu chiamata a partecipare da fondatrice nonostante i ritardi di condizione economica e sociale. Mentre la Gran Bretagna chiarì subito quanto la Germania fosse nel giusto nel ritenerla un Paese extraeuropeo. Le condizioni d’inferiorità presenti in Italia negli anni Cinquanta non sono state recuperate nei quarant’anni successivi, anzi si sono aggravate, a causa di una classe politica interessata a sfruttare la Guerra Fredda per rendersi immortale. E anche dopo il 1989 la stagione di riforme è durata vent’anni senza riformare nulla. Nel corso di questo ventennio però vecchi nemici sono diventati amici e poi di nuovo nemici. Inoltre si sono succedute numerose meiosi che hanno prodotto la scomparsa di quasi tutti i partiti costituenti e la rifondazione di altri che oggi somigliano agli originali quanto i romani agli antichi romani. In questa condizione è esplosa la prima crisi economica globale. Da quella finanziaria ci siamo in parte salvati per lo scarso coinvolgimento del nostro sistema bancario nano per i giochi dei giganti.

Ma dalla crisi economica l’Italia è stata travolta e ancora arranca al buio mentre quasi tutti gli altri vedono quanto meno la luce in fondo al tunnel. Nonostante fosse globale e cruenta la crisi non ha soffocato il desiderio di migliori condizioni di vita dei Paesi sottosviluppati da cui nel periodo d’oro l’Occidente aveva importato mano d’opera a basso prezzo (e praticato l’offshoring). Inoltre una serie di rivolte socio-religiose nel Nord Africa mediterraneo e nel Medio Oriente islamico hanno aggiunto l’immigrazione politica all’immigrazione economica. I numeri degli arrivi si sono impennati e con loro la richiesta di sicurezza nei Paesi ospiti impreparati alla resistenza di moltissimi immigranti ad integrarsi. Le zone franche (qualcuno le chiama no man’s lands) dove fino ad allora aveva prosperato solo l’illegalità si sono riempite di immigrati i quali si sono rifugiati nel fondamentalismo religioso (più o meno convinto) una volta capito che l’Occidente luccicava a guardarlo dal loro Paese ma era buio a viverci.

Da questo punto di vista l’Italia, in fondo, ha sopportato un prezzo minore rispetto ad altri Paesi europei grazie alla ricordata politica del transito ma le cose stanno cambiando rapidamente. E non solo perché le tensioni sociali stanno mutando in esigenze di sicurezza personale ma perche l’Ue (Germania in primis), di fatto, ha iniziato ad isolare l’Italia anche geograficamente con l’accusa d’inaffidabilità e furbizia. Le previsioni parlano di arrivi tra i duecentomila e un milione di uomini donne e bambini. Il che vuole dire che in assenza di un immediato contenimento delle partenze e un’effettiva politica d’identificazione e rimpatri sarà il collasso del nostro Paese o la tragedia umanitaria. A meno di non fare di tutta Lampedusa la Paradise Island dell’Unione Europea.

Quello australiano è infatti un modello democratico ma incompatibile con la tolleranza verso gli immigranti che non si lasciano registrare. D’altro canto è ammissibile rinunciare a Lampedusa o ad altra parte del territorio? Soprattutto di fronte all’arroganza di alcuni Paesi europei che sembrano aver già deciso? Lo Stato italiano deve battere un colpo ed il Governo, se c’è, deve essere deciso e non limitarsi a dichiarare di avere idee chiare. Le coste devono essere controllate e la popolazione difesa dal saprofitismo politico europeo prima che dagli sbarchi. Insomma l’Italia non deve essere come l’India dove uno dei due nostri soldati in missione di difesa delle nostre navi commerciali è ancora trattenuto ingiustamente ed illegalmente. L’Ue dal canto suo deve accettare di sostenere politicamente e finanziariamente l’Italia ad interdire la rotta libica in acque internazionali e cioè al massimo entro quattro miglia dalle acque territoriali dei Paesi del Nord Africa. E affidare all’Italia il compito d’intervenire in Libia come crede e non come credono quei Paesi che amano fare shopping con i soldi degli altri (Eni/gasdotto libico e mano d’opera specializzata siriana ricordano nulla?).

Quello di immigrato è uno status che si ha diritto venga riconosciuto. Altrimenti come farebbe la Società occidentale a dirsi globale oltre che aperta. Ma quello di immigrato è “uno degli” status individuali e nella gerarchia dei diritti cede a quello di libertà personale ossia di determinarsi e vivere in sicurezza con le proprie famiglie. Diversamente la situazione precipiterà perché se l’egualitarismo ha condotto l’Italia al crollo etico (avendo trattato il talento e merito come qualcosa per cui pagare dazio), il buonismo potrebbe trasformarci in un Paese razzista che vota estrema destra. E ci si renda conto che con tutti i suoi eccessi conflitti d’interesse, monopoli televisivi e insofferenza per la giustizia il Silvio Berlusconi del 1994 è un pericoloso sovversivo rispetto al Donald Trump di oggi. Parlo per aver visto e sentito personalmente.


di Flavio de Luca