I Radicali e le elezioni

mercoledì 18 maggio 2016


Tra pochi giorni, chiuse le urne delle amministrative, avremo importanti indicazioni sui prossimi equilibri politici, sui rapporti di forza tra i partiti, persino sui rischi (possibili...) di scomparsa di soggetti fino al giorno prima ritenuti potenze politiche di buon livello. I commentatori, i politologi, ma anche l’opinione pubblica meno disattenta avranno il loro bel daffare a capire perché nelle prime ore dopo gli scrutini ciascuno dei contendenti sosterrà, sciorinando tutte le sue carte, di aver vinto la partita. Trucchi e bugie saranno prima o poi smascherati, e dopo qualche giorno il quadro politico italiano mostrerà la sua vera faccia: nuova anche se, forse, non ancora consolidata e rassicurante.

Non saranno molti, credo, quelli che si interesseranno ai risultati delle liste “radicali”. Sia quella di Milano, dove Marco Cappato ha lanciato la sfida alla carica di sindaco, sia quella di Roma dove Riccardo Magi ha puntato ad un posto di consigliere comunale nell’orbita di Giachetti. Si tratta di episodi minori della partita che, nei suoi numeri più grandi, potrebbe anche prefigurare l’esito del referendum costituzionale e delle successive elezioni politiche.

Interessano invece, quei risultati, a quanti partecipano della vicenda radicale, e io mi riconosco tra quelli. Oggi, evidentemente, non saprei dire se saranno risultati positivi oppure no. Non posso esimermi dagli auguri, ma si capisce che sono auguri di circostanza. Per me (e non solo per me) il problema radicale è altro, resta tutt’ora aperto e risultati di questa campagna elettorale non ne muteranno i valori.

In un puntuale - ed anche simpatizzante - articolo del 26 aprile scorso Dimitri Buffa si chiedeva “se ci sarà davvero la scissione dell’atomo radicale per provocare l’esplosione nucleare che rimetta in moto la galassia ormai quasi irrimediabilmente attratta nel buco nero della rassegnazione politica”. Mi sia consentita una (tardiva) replica, forse una puntualizzazione, che non faccia uso o abuso dei termini di una divertente astrofisica richiamata evidentemente da quel termine “galassia” con il quale i radicali definiscono l’insieme dei soggetti costituenti il Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito.

E allora, in termini di puntualizzazione più che di replica, credo si possa - ed anzi si debba - dire che la “scissione” radicale già c’è, con tutte le conseguenze del caso. Ma - e credo che anche Buffa lo sappia benissimo anche se lo tace - la causa scatenante dell’“esplosione” non è stata la presentazione di liste “radicali” alle amministrative di Milano e Roma. Molti la pensano così, ed anche alcuni commenti della stampa riflettono tale giudizio. Personalmente credo che l’iniziativa elettorale abbia un significato e una portata del tutto secondaria nella vicenda della rottura politica in atto, da almeno tre anni, tra il Partito Radicale e Radicali Italiani nella loro maggioranza. Senza ripercorrere una strada lunga e accidentata, basterà ricordare che all’ultimo suo Congresso di novembre 2015, a Chianciano, Radicali Italiani ha visto il passaggio della segreteria da Rita Bernardini - portatrice di una linea politica centrata sui temi della giustizia e del “diritto umano universale alla conoscenza” - a Riccardo Magi, principale interprete di una linea che aveva sì, come obiettivo immediato, la presentazione di liste “radicali” alle amministrative, ma perseguiva in realtà come obiettivo di lunga scadenza quello - apertamente dichiarato da molti in più di una occasione - di costruire un partito radicale che prescinda da Marco Pannella: il partito “senza” Pannella, e soprattutto senza nessuna delle caratteristiche che lo hanno contrassegnato in più di cinquant’anni di vita, dalla “nonviolenza” delle azioni dirette fino all’ostinato perseguimento della costruzione, in Italia ma non solo, dello “Stato di Diritto” come alternativa a quella “Ragion di Stato” che sembra ormai minacciare - a detta di ogni serio commentatore politico - la democrazia e le democrazie anche più consolidate. Questa analisi, drammatica certo ma - ripeto - incontestabile, i Radicali Italiani la respingono e rifiutano da lungo tempo, e ritengono che i problemi della democrazia italiana possano e debbano essere risolti o riparati, diciamo così, dall’interno delle Istituzioni, a partire dalle amministrazioni locali di quelle “Città” al cui risanamento civico hanno dedicato anche, a Napoli, un convegno programmatico. Scissione politica, dunque, dalle radici profonde, non esorcizzabile con appelli alla buona volontà che pure sono stati spesso evocati.

La strada della scissione (qualcuno la definirebbe, eufemisticamente, una “divaricazione”) non è nuova, nel Partito Radicale: la tentò pochi anni fa Capezzone, che pure aveva qualche freccia al suo arco; ma anche, per dire, un Benedetto Della Vedova che esortava incessantemete i radicali a “sporcarsi le mani” nella politica reale, senza chiudersi nelle astratte (“solipsistiche”?) atmosfere dei “diritti civili”. Questi tentativi (e altri analoghi, persino più poderosi, come quello scatenatosi ad un lontano congresso di Bologna con l’abbandono della sala congressuale da parte della metà di una ricca e valida classe dirigente) hanno avuto esiti diversi, più o meno fortunati: nessuno però ha fatto avanzare di un metro la soluzione del problema essenziale, quello della restaurazione in Italia dello Stato di Diritto, promotore e garante di una giustizia che non faccia scempio di sé, come oggi avviene per universale giudizio, nelle carceri o nei tribunali penali e civili, con scellerato dispendio di ricchezza umana e civile e tra insistenti ma inascoltati richiami di ogni istituzione internazionale ed europea.

Di fronte a questa “divaricazione”, il Partito Radicale Nvtt insiste invece nella lotta inter e transnazionale per la promozione dello Stato di Diritto in alternativa alla Ragion di Stato e allo Stato Emergenziale che si affaccia ogni dove con sintomi preoccupanti e deleteri. Questa campagna è il seguito logico e stringente di tutte le campagne promosse dai radicali, fosse quella per il divorzio o quella per la responsabilità civile dei magistrati. Il Partito Radicale oggi guarda all’Onu come possibile punto di riferimento: è la stessa Onu, con gli stessi pregi e difetti, dalla quale sono usciti - sempre per iniziativa radicale - il Tribunale Internazionale dell’Aja o la Moratoria per la Pena di Morte. Quelli furono successi, quest’ultima impresa potrebbe anche, invece, fallire. Ma il suo fallimento non farebbe diminuire di un centesimo la necessità, anzi l’urgenza, di iniziative politiche transnazionali, convergenti sull’obiettivo della restaurazione degli universali diritti civili ed umani.

Per quanti sono interessati alle vicende della “galassia” e dei suoi soggetti, i risultati delle prossime aministrative saranno occasione di una prima verifica sulle ragioni dei due “tronconi” che oggi si contendono il diritto a definirsi “radicali”. Non sarà certo la verifica decisiva. Personalmente, il giudizio io lo affiderei piuttosto alla Storia.


di Angiolo Bandinelli