Ora tutti amano Pannella, pure Scalfari

La gente comune lo ha sempre amato, Marco Pannella. Tanto è vero che non ha mai avuto bisogno di una scorta neanche negli anni di piombo, quando pure qualche minaccia dai compagni che sbagliano la ebbe, specie dopo che osò candidare Toni Negri al Parlamento. Nel quadro della “spes contra spem”. Essere speranza in un’evoluzione non armata nel movimento dell’Autonomia, contro il limitarsi a sperarlo e basta. E già questo per un politico italiano sarebbe un record visto che i più importanti girano protetti da un esercito di guardaspalle.

Ma che oggi tutti, a cominciare da Eugenio Scalfari, dichiarino un amore di cui in vita spesso non c’è stata percezione, fa parte proprio dell’ipocrisia italiota. Che glorifica i morti e odia i vivi. Un po’ come con gli ebrei: se esistono nello Stato di Israele e osano difendersi dal terrorismo islamico, allora sono gli “sporchi sionisti”, “il problema del Medio Oriente” e “i padroni della finanza mondiale”, se invece si tratta di quelli morti ad Auschwitz diventano immediatamente simpatici. Specie a quella sinistra filo-palestinese che nega il problema del fanatismo islamico.

Ha ragione Nicola Porro che a “Virus” (e si capisce perché vogliano sopprimere una trasmissione così, con quell’insopportabile tasso di onestà intellettuale, ndr) li ha apostrofati tutti come “ipocriti”. Prendiamo proprio Scalfari come paradigma, anche se la veneranda età impone lo stesso rispetto che nessuno ha avuto per Pannella quando era ancora vivo e pugnace. Durante gli anni di piombo e soprattutto durante il sequestro Moro, Scalfari trattò i radicali come fiancheggiatori dei terroristi brigatisti. E questo con il duplice scopo di far vendere copie a “la Repubblica” e tirare le fila del partito della fermezza che tre anni dopo fallì il colpo grosso quando venne sequestrato il magistrato Giovanni D’Urso. Lì, se ci fosse scappato il morto, magari “la Repubblica” sarebbe diventato l’organo ufficiale dell’Italia post golpe pecchioliano e piduista. Ma per fortuna non andò così.

Ma oggi questo “volemose bene pro Pannella” da parte degli stessi che praticamente lo volevano morto, forse non solo politicamente, magari buttandogli tra i piedi il cadavere della povera Giorgiana Masi già nel maggio 1977, stride non poco: passi per i cattolici integralisti come Carlo Casini che hanno sempre combattuto le sue idee, invano, e che oggi riconoscono l’onore delle armi. Ma chi Pannella lo ha combattuto come persona, sono ancora fresche le memorie degli sputi dei fascisti dei centri sociali quando Marco osò pochi anni orsono, il 15 ottobre del 2011, presentarsi in piazza a una manifestazione di pseudo indignados, come osa oggi accodarsi alle lodi e alle glorificazioni post mortem?

E ci si chiede come osino anche quei giornalisti, quei politici che con armi sleali hanno combattuto le idee radicali più qualificanti, ad esempio l’antiproibizionismo sulle droghe. A cominciare dall’uso mistificatorio della parola “liberalizzazione”, invece di “legalizzazione”, facendo finta di non sapere che di solito si “liberalizzano” i servizi pubblici prima monopolio di Stato. Non quelli privati, monopolio della mafia. Si potrebbe parlare poi di chi, nella politica e nel giornalismo lottizzato, ha tenuto i radicali lontano dalla Rai per decenni. Anche questi oggi dicono di avere amato Pannella?

L’elenco degli “ipocriti, ipocriti”, per riprendere l’urlo liberatorio di Porro di giovedì sera, è lungo. Ma è una fatica inutile: ce li ritroveremo anche oggi a piazza Navona ai funerali laici dell’amatissimo Marco. E da radicali dovremo fare finta di niente, non curarci di loro ma guardare e passare.

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:05