Il nodo dei pesi e dei contrappesi

Sono ormai quotidiane le scivolate irriverenti che il Premier e la sua luogotenente Boschi compiono nelle pubbliche uscite (figuriamoci in quelle private).

Dall’equiparazione a CasaPound per chi è contrario alla riforma costituzionale, alla classifica fra Partigiani veri oppure no, alla derisione dei co.co.co; insomma, uno zibaldone di giudizi che, fatti passare per semplici gaffe, tutt’altro testimoniano. Va da sé, infatti, che il premier e il suo ministro più importante non possono pensare di sbeffeggiare questo o quello, riparandosi dopo dietro lo scudo della mala interpretazione o della gaffe.

Del resto soprattutto Renzi dallo “stai sereno Enrico” al “Fassina chi?” a “D’Alema che più parla e più mi rafforza”, ne ha infilate talmente tante di dichiarazioni sgradevoli che oramai non c’è giustificazione che tenga. Della Boschi poi non ne parliamo, anche perché un ministro così al centro dell’attenzione, per una serie di vicende tutte da chiarire, come minimo dovrebbe sottoesporsi oppure utilizzare una straordinaria cautela.

Eppure nessuno dei due né se ne preoccupa, tanto è vero che non mancano botta per andare a ruota libera nelle interviste e nelle dichiarazioni. Per carità, la politica è fatta anche di punzecchiature forti, talvolta aspre, spesso taglienti, ma la supponenza, lo sberleffo, addirittura l’offesa sono sintomi di una caratterialità onnipotente che dovrebbe far riflettere. Dovrebbe far riflettere Berlusconi, quando si ritrova sconfessato su presunte affermazioni private su questo o quell’altro conduttore di talk-show, come tutti i dissidenti del Pd quando costantemente si ritrovano ridicolizzati sulle loro posizioni.

Altrettanto dovrebbero riflettere magistratura, sindacati e giornalisti quando sentono parole, annunci, arringhe, che dette dal premier assumono il tono edittale di chi si sente padre padrone, piuttosto che primo ministro di un Paese libero e democratico. Infatti, un Presidente del Consiglio, seppure determinato e volitivo, non dovrebbe mai scendere ai livelli di un confronto che sapesse più di botta e risposta da stadio che di scambio di vedute. Ai tempi di Berlusconi, bastava che il Cavaliere scivolasse su qualche cosa in modo troppo metallico oppure equivocabile che veniva giù l’ira di Dio, compreso l’immediato richiamo privato da parte delle più alte magistrature della Repubblica. Non solo, ma tutta la stampa più autorevole partiva con un fuoco di fila nucleare per ammonire nei modi più minacciosi Berlusconi e maggioranza. Parliamo del cosiddetto Editto bulgaro, della magistratura antropologicamente diversa; insomma, di molte uscite del Cavaliere non gradite al “sinistra pensiero” e non solo.

Oggi, al contrario, anche di fronte a discorsi che dovrebbero non solo inquietare, ma anche esigere scuse piuttosto che smentite, remissione piuttosto che giustificazione, tutto passa sostanzialmente liscio tranne pochi distinguo. Forza Italia lascia che il suo leader venga maltrattato, i dissidenti a partire da Bersani replicano con il fuciletto a elastico alle bordate d’artiglieria, sindacati e quant’altro incassano e portano a casa.

C’è insomma un brutto clima di abitudine, rassegnazione, normalizzazione, nei confronti di uno stile del premier e di alcuni ministri, che preoccupa e sorprende. Sia chiaro, preoccupa non certo per il pericolo di chissà che cosa, nessuno potrebbe pensare ad autoritarismi inesistenti, ma che con Renzi la Repubblica si stia avviando al concetto di “un uomo solo al comando” è tutt’altro che fantasia. Del resto temperamento e carattere del Presidente del Consiglio sono evidenti, proprio per questo da noi, oggi più che mai, il principio dei pesi e contrappesi andrebbe rafforzato anziché svilito. Questa è una, se non la più importante delle questioni del referendum, avviarci così ad un potenziamento tanto forte del Premier e della maggioranza che controlla, non può non essere un punto dirimente. Il problema, infatti, non è il bicameralismo o il monocameralismo, il problema è questa riforma combinata con l’Italicum e tutta la concentrazione di potere che ne seguirebbe. Imperdonabile dunque ridurre la questione al “meglio questo che niente”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53