Il processo senza fine

Questa l’intestazione della giornata tenutasi nella sala del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, presso la Corte di Cassazione, indetta dalla Unione Camere Penali il giorno centrale dei tre di astensione proclamati dall’intera avvocatura per sensibilizzare mondo politico e società civile sulle storture che sempre più seriamente ledono i diritti e le garanzie dei cittadini. La manifestazione prevedeva la mattinata dedicata al confronto col mondo politico, il pomeriggio con quello accademico.

Personalmente ho potuto assistere alla prima parte e mi dispiace aver saltato la seconda perché è sempre prezioso ed istruttivo ascoltare giuristi dello spessore – anche argutamente polemico – del professor Giorgio Spangher, ormai fedele amico delle Camere Penali (lo trovo sempre le volte che partecipo a qualche loro convegno). Peraltro significativi sono stati gli interventi dei politici, quali il ministro Enrico Costa, i senatori Nico D’Ascola (anche presidente della Commissione Giustizia del Senato) e Gaetano Quagliariello e il sottosegretario di Stato alla Giustizia, Cosimo Ferri. Il primo a prendere la parola è stato il senatore D’Ascola, che l’amico Mauro Anetrini (candidato alla presidenza dell’Unione, congresso a fine settembre in quel di Bologna) mi descrive – ovviamente non lo conoscevo – come uomo di grande preparazione ed intelligenza, molto democristiano. Sui pregi, mi fido del giudizio di Mauro, mentre sulla democristianità, dopo averlo sentito parlare, non ci possono essere dubbi di sorta, rimanendo il suo discorso, a mio parere, molto sulle generali, diplomatico, quasi canonico, finalizzato a non scontentare nessuno. In buona sostanza, impalpabile.

Molto meglio gli interventi successivi, a partire dal ministro Costa che del resto in varie occasioni ha dimostrato di essere l’unico elemento del governo in carica ad avere a cuore i princìpi di diritto e garanzia (il ministro Andrea Orlando, amato da Riccardo Cattarini, non sarebbe accio, ma probabilmente il suo posto a via Arenula scotta, esposto in prima linea com’è sul fronte con quelli della Anm. Pare che sia proprio grazie a Costa se finalmente, ai tanti proclami propagandistici che i giustizialisti in toga e in Parlamento, si è potuto replicare con la forza dei numeri e delle percentuali. Lo scandalo delle prescrizioni, lo strumento bieco – inutile spiegare che è uno dei capisaldi del diritto dalle sue origini, rintracciandone i primi segni addirittura nelle XII tavole, e naturalmente nella Roma Repubblicana e poi con Giustiniano – per il quale i criminali “la fanno franca”, sfruttato da avvocati dallo stomaco villoso che perdono tutto il tempo possibile per fornire questa via di fuga ai loro colpevoli (sempre !) clienti. Ebbene, il ministro Costa rappresenta come sia stato accertato che l’85 per cento delle prescrizioni si consumi nelle fasi delle indagini preliminari e il processo di primo grado. L’85%! Di più: su 110mila prescrizioni realizzatesi in questo arco temporale, ben 88mila sono quelle riferibili alla fase delle indagini, quella nella quale, diceva coloritamente il past president dell’Unione, Valerio Spigarelli, “l’avvocato non tocca palla”.

Altra cosa importante: i reati più gravi, quelli cosiddetti di “sangue”, sono imprescrittibili. Infine, ultimo ma non per importanza, la famosa questione della prescrizione che interviene perché il reato si scopre tardi, sono in tutto meno del 10 per cento. Il senatore Costa parla dell’importanza dell’organizzazione degli uffici, rilevando come in alcuni le percentuali di prescrizione sono vicine allo zero, altri, nonostante un numero superiore di magistrati e personale, del 30 per cento. Sono numeri che dovrebbero tacitare parecchia gente, ma da noi non succede. Del resto, ricordate il seguito popolare toccato per lustri a Di Pietro? Poi l’uomo ha fatto la fine che meritava, ma i suoi fedeli, delusi, sono sempre pronti a trovare un nuovo Savonarola. Oggi è Davigo. Ma ci sono altre considerazioni, non da poco, che il senatore Costa, e poi Quagliariello, propongono: come si concilia la pretesa di un processo senza fine – come definirlo uno che può prolungarsi per oltre 20 anni – con il principio costituzionale, e anche delle corti europee, della ragionevole durata dello stesso? E siamo sicuri che il diritto degli imputati ad un processo giusto e di durata sensata non coincida con quello delle vittime, della società civile? C’è qualcosa di patologico in qualcuno che preferisca attendere 20 anni “pur di avere giustizia” (ricordo: gli omicidi, le stragi, queste cose non rientrano nella prescrizione).

Costa, lodevolmente, tocca poi il tasto degli errori giudiziari, ché ci stanno anche quelli, e le difficoltà mostruose per partorire una legge sulla responsabilità civile dei magistrati che definire “buonista” per le toghe pregiate è eufemistico. Eppure, dal 1992 ad oggi, lo Stato ha dovuto rifondere la bellezza di 600 milioni di euro per l’ingiusta detenzione, con 25mila persone risarcite per la perdita del bene più prezioso. La bella e brava Maria Brucale, che mi era vicino, mi ha subito segnalato le altre migliaia che, pur detenute ingiustamente, perché poi prosciolte, un indennizzo non l’avranno mai per la vergognosa applicazione del principio della condotta “sospetta” dell’imputato (che con essa avrebbe indotto in errore il magistrato inquirente…). Se siete amici dall’infanzia di uno che poi diventa un delinquente, abbiate cura di troncare qualsiasi rapporto con lui, ché magari vi mandano in galera e poi vi dicono che è colpa vostra se avete amicizie sbagliate… Potrebbe anche accadere che nemmeno siate a conoscenza delle attività illegali dell’amico in questione, ma la legge non ammette ignoranza no? Ma che c’entra la legge con una cosa del genere dite? Disfattisti!

Sul tema delle intercettazioni sia Costa che Quagliariello hanno sostenuto che le norme esistenti andrebbero bene, senza bisogno di riforme, se non ci fosse il problema delle libere, a volte fantasiose interpretazioni dei giudici, tra l’altro molto variabili a seconda delle circoscrizioni giudiziarie. Infatti, circoscrizione che vai, circolare che trovi. La Circolare, il nuovo strumento para normativo inventato dai presidente di Tribunale o dai capi delle Procure… Il problema, ricordava nei suoi preziosi interventi Anetrini, non è dato dall’eventuale saggezza o condivisibilità di queste circolari, quanto dal fatto che l’Italia si dà il caso che sia una, e la giurisdizione dovrebbe essere la stessa ad Aosta come a Catania… Per evitare gli abusi interpretativi – Quagliariello usa proprio questa espressione – sarebbe bene che il legislatore scrivesse norme migliori, nel senso di più chiare, e con accentuato aspetto di tassatività. Osserverà successivamente il professor Fabio Alonzi che veramente anche quando la norma è letteralmente chiara, i giudici, persino quelli di Cassazione, non si peritano di stravolgerla. L’esempio è quello del principio introdotto con la riforma delle misure cautelari (L. 47/2015), la quale, tra l’altro, prevede che il giudice deve motivare in modo autonomo la propria decisione, evitando quindi meri riferimenti alle richieste del pubblico ministero, possibilmente il poco dignitoso “copia-incolla” delle argomentazioni dell’accusa, e anche pronunciarsi sulle osservazioni della difesa. Bene, tutto questo può continuare tranquillamente a non avvenire senza che la Cassazione, in applicazione della nuova legge, bocci il provvedimento perché non conforme a legittimità. L’invenzione della “soft law”, vale a dire la giurisprudenza che in realtà snatura la norma che dovrebbe applicare e che invece “interpreta” fino alla sua sostanziale disapplicazione, è la moda da cui mette in guardia il professor Spangher che nota come le sentenze della Cassazione sono sempre più contraddittorie, con sezioni che si contrappongono, fino all’inevitabile intervento delle sezioni unite che, per lo più, finiscono per scegliere l’interpretazione meno favorevole alle garanzie, e questo a dispetto di principi costituzionali sanciti espressamente da precise prescrizioni: artt. 15, 25,27, 111…

Il sottosegretario alla Giustizia, il magistrato (per concorso, ché credo abbia esercitato ben poco e tutto sommato credo sia stato meglio così) Cosimo Ferri, è intervenuto in modo abbastanza approssimativo, preoccupandosi di rivendicare l’operato del governo, che si darebbe un gran da fare, cercando di mediare tra le opposte posizioni di magistrati e avvocati, rilevando che sì, va bene, le prescrizioni si consumano soprattutto per colpa delle indagini troppo lunghe, però come la mettiamo con i tempi morti del processo? E cita il problema delle notifiche a vuoto, degli intervalli di tempo tra un’udienza e l’altra, tra il primo e il secondo grado… Verrebbe da dire: e li risolvi allungando i tempi di prescrizione? Gli scappa un’infelicissima espressione: “le garanzie dilatorie”. I colleghi hanno dovuto sedare il maestro Battista e il sanguigno Intrieri, che volevano che il sottosegretario facesse degli esempi concreti. Come avrebbe mai potuto? Le garanzie o sono tali, e allora senza aggettivi, oppure non lo sono e quindi le eliminassero. In realtà il cerchiobottismo governativo è preoccupante, perché qui non si tratta di accontentare un po’ gli uni e gli altri, quanto avere il coraggio di ascoltare i diversi ragionamenti e scegliere che tipo di civiltà giuridica si vuole. Quella che si va delineando, con processi senza fine, intercettazioni senza limiti, interpretazioni senza confini, a noi non piace.

Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 16:47