Partito Radicale, l’intervento di Terzi

Pubblichiamo l’intervento di Giulio Terzi all’Assemblea del Partito Radicale che si è tenuta nei giorni scorsi a Teramo.

Cari amici, riprendere con voi il filo del pensiero, dell’opera e dell’impegno di Marco Pannella su Stato di diritto, diritto alla conoscenza, libertà e Diritti umani non può avvenire senza un senso di profonda commozione per il suo ricordo e per tutto quello che ha voluto insegnarci e lasciarci.

Vorrei ricordare alcuni passi del suo intervento alla conferenza al Senato il 27 luglio dello scorso anno perché quello è stato il vero punto di partenza della campagna che abbiamo iniziato e che ci siamo impegnati a proseguire con successo attraverso la creazione del “Gobal Committee for the Rule of Law”, fortemente voluto da Marco e ora a lui intitolato.

I concetti espressi quel 27 luglio sintetizzano, io credo, la linearità coerente e lo straordinario spessore del pensiero - lui direbbe certamente della “conoscenza” - maturato nel suo impegno incondizionato per la libertà e per i Diritti umani.

Se vi è una forma assolutamente positiva di sincretismo, inteso quale convergenza di elementi filosofici e religiosi diversi in vista di esigenze pratiche, questa forma si manifesta con grande forza nelle parole di Marco; nel suo ricollegare valori kantiani - “le forme spirituali dello spirito storico” - alla tradizione liberale - “...visioni liberali, visioni laiche, libertà di pensiero” - all’universalità affermata dal Dalai Lama: “... il principale obiettivo è sì la difesa dei Diritti umani ma non tanto dei tibetani quanto per una maggior democrazia, per diritti e libertà per il popolo Han”.

Le “forme spirituali dello spirito storico e la realtà che ci anima” riflettono una concezione del valore terreno e trascendente dell’esperienza umana che non può non ricondurci a quel paragrafo conclusivo della “Critica della ragion pratica”, impresso in una pietra del castello di Königsberg: “Due cose riempiono il cuore con sempre nuovo e crescente sbigottimento e riverenza, più attentamente riflettiamo su di esse: il firmamento stellato sopra di me, e la legge morale dentro di me. Der bestirnte Himmel über mir und das moralische Gesetz in mir”.

E cito ora i pensieri introduttivi di Marco Pannella un anno fa alla conferenza al Senato: “abbiamo spesso evocato e rievocato echi di religiosità profonda, in genere comuni alle varie forme di confessione religiosa: è l’onorare nel presente un connotato, la presenza visibile, materiale, attraverso dei viventi, attraverso le forme spirituali dello spirito storico, della realtà che ci anima e - credo - in qualche misura al di là della conoscenza, e della buona coscienza, che noi stessi possiamo avere di questo nostro tempo… quel che sapremo concepire e creare lo dobbiamo alle voci di coloro che sono presenti e animano le nostre vite, le nostre capacità di lotta e ci consentono di dire che il nostro presente - quello che vediamo - registra la forma di presenza non visibile di coloro che presenti sono grazie ai loro lasciti, grazie a ciò che hanno immesso di animo, di spirito, di fecondità, di concepimento dell’avvenire… assumendoci la responsabilità di una compresenza che ci vede oggi uniti, ciascuno con le grandi eredità di cui si è consapevoli o meno, e che costituiscono la nostra capacità e i nostri modi di essere viventi… siamo qui per lottare, e i mezzi sono importanti: lottare contro forme di legalità che sono nemiche delle visioni liberali, delle visioni laiche, forme nelle quali la libertà di pensiero viene temuta piuttosto che coltivata… urge una crescita della consapevolezza e della scelta del diritto che ci muove può esprimersi in forme di legalità che possono rischiare di negare proprio quelle radici per le quali si è evocata una tradizione di legge, di rispetto della legge…

Noi dobbiamo dire che parlare di diritto è parlare di legge, la legge rispetto alla quale credo stia dando splendido esempio nel presente attuale Sua Santità il Dalai Lama... nel rispetto dei Diritti umani e dello Stato di diritto riusciremo a risolvere questo problema della forme politiche dei nostri territori asiatici... il nostro obiettivo principale è sì la difesa dei Diritti umani ma non tanto dei tibetano quanto per una maggiore democrazia, per diritti e libertà per il popolo Han”.

Un autorevole interprete della tradizione liberale britannica, Roger Scruton, ne ha sintetizzato le declinazioni pratiche in questo modo: “l’opportunità di vivere le nostre vite come meglio desideriamo; la certezza dell’imparzialità della legge, che i nostri reclami sono ascoltati e i torti compensati; la protezione del nostro ambiente come un bene condiviso, che non può essere espropriato o distrutto a piacere da interessi di poteri forti; una cultura aperta e curiosa che ha formato la nostra scuola e le nostre università; procedure democratiche che ci consentono di eleggere i nostri rappresentanti, di adottare le nostre leggi, e molte altre cose che ci sono famigliari e che sono considerate acquisite. Ma tutto questo, sottolinea Roger Scruton, è minacciato”. Che Stato di diritto e Diritti umani siano minacciati, e lo siano in una sorta di inversione di tendenza rispetto all’inizio di questo XXI secolo, è sotto gli occhi di tutti noi; ben pochi lo negano.

L’inversione di tendenza è globale. Riguarda la Comunità internazionale, dove per le Nazioni Unite un mero, risibile 3 per cento di fondi viene destinato a programmi e iniziative destinati alla tutela e promozione dei Diritti umani e dello Stato di diritto. L’inversione di tendenza riguarda l’Europa, con la violazione della legalità perpetrata da Stati che usano la forza militare per annettere parti di Stati sovrani, con il pretesto di proteggere minoranze che sono invece tutelabili perfettamente attraverso rodati e efficaci strumenti giuridici; riguarda l’Europa, nelle vicende delle migrazioni, della lotta alla povertà, della giustizia; e riguarda l’Italia, nel diniego del giusto processo, in un uso indecente della prescrizione, nella vergognosa situazione delle carceri, nel mancato recepimento di sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo, nel degrado della libertà d’informazione che condiziona la politica e le libertà fondamentali nel nostro Paese.

La campagna per lo Stato di diritto e per i Diritti umani può e deve essere globale; ma a condizione di essere al tempo stesso nazionale. Non si tratta di impegni diversi. Non possono esserci compartimenti stagni tra il “nazionale” e il “trasnazionale” quando si affermano diritti e libertà che o sono universali ed esistono solo in quanto universali, o non sono. La pulizia va fatta in casa così come in strada.

1) Possiamo lottare contro la tortura al Consiglio d’Europa e non farlo in Italia?

2) O impegnarci contro le mutilazioni genitali femminili in Somalia e lasciar correre tra le comunità somale in Lombardia o nel Lazio?

3) È immaginabile impegnarci per migliorare le condizioni detentive, spesso spaventose, per i nostri tremilacinquecento connazionali detenuti all’estero, e più in generale per il rispetto dei diritti fondamentali dei detenuti a livello globale, senza agire con decisione per risolvere il problema delle carceri in Italia?

4) Possiamo batterci perché il Cremlino riconosca almeno un minimo di libertà di stampa per le Ong e le opposizioni interne e tacere sul fatto che l’Italia sia con la Grecia all’ultimo posto nell’Ue e al sessantasettesimo a livello mondiale per libertà di informazione?

5) E non dovremmo riflettere seriamente sulla qualità del nostro Stato di diritto e sul diritto alla conoscenza nel nostro Paese, quando apprendiamo dai dati Agicom sulla campagna referendaria di ottobre, che i sostenitori governativi del “si” registrano sui principali organi d’informazione radio e televisiva nazionali in maggio sette ore di presenza contro settantanove secondi quelli del “no”?

6) Possiamo forse contrastare - tema di fondamentale importanza per l’attuazione dello Stato di diritto e del diritto alla conoscenza - la corruzione che devasta numerose società ed economie nel mondo, accettandola supinamente in Italia come un dato ineluttabile, fingendo ad esempio di credere che la nuova legge sulla cooperazione allo sviluppo non sia quella “Bengodi” della licitazione privata che molti ritengono, o che il nuovo codice sugli appalti - come rilevato da PierCamillo Davigo - non sia altro che un’operazione cosmetica?

La visione che ha guidato Marco e gli amici radicali a rilanciare con vigore il principio dello Stato del diritto e del diritto alla conoscenza sul piano universale, ci ha consentito di precisare il percorso del Global Committee. Lo abbiamo fatto con Matteo, Elisabetta, Laura a Ginevra al Palais des Nations, a Sofia alla convention della World League for Freedom and Democracy insieme a Matteo. Ho continuato a parlarne a Parigi a un convegno con Kofi Annan, Komorowski, e Jack Straw. Proseguiremo il 9 luglio a Parigi, insieme a Matteo, Laura, Elisabetta, Sergio e Maurizio, con diversi incontri bilaterali a margine della Convention dell’opposizione iraniana. Abbiamo constatato molto interesse anche negli incontri delle ultime settimane a Roma con personalità delle Nazioni Unite, del mondo politico e accademico francese, britannico, polacco, bulgaro, macedone e kosovaro.

L’interesse nasce dalla constatazione condivisa da tutti i nostri interlocutori che stia arretrando e rapidamente indebolendosi l’intero “acquis” di Trattati, dichiarazioni politiche, iniziative che avevano invece, sino all’inizio degli anni 2000, a partire dalla dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, riconosciuto Diritti umani e Stato di diritto quali pilastri essenziali per pace, sviluppo e democrazia.

Solo pochi giorni fa in un lungo editoriale di “The Economist” c’era scritto che la libertà di parola e di espressione è “sotto attacco”, soprattutto per quattro motivi: la repressione da parte dei Governi si è accresciuta e i diversi Paesi hanno nuovamente imposto controlli su tali libertà risalenti ai tempi della Guerra Fredda e ne hanno introdotti dei nuovi; in un preoccupante numero di Paesi, entità statuali e non, praticano la censura attraverso assassini; si sta diffondendo l’idea che le persone abbiano un diritto assoluto a non essere offese e siccome l’applicazione di tale regola non può che essere soggettiva, essa non fa che rafforzare l’arbitrarietà e l’ampiezza dei poteri di polizia; i sondaggi rilevano in molti Paesi un sostegno tiepido e condizionato alla libertà di parola, sotto l’influenza di Governi e attori non statuali come gruppi religiosi e fondamentalisti che colgono ogni occasione per condizionare l’informazione pubblica.

Sono solo alcuni esempi che dovrebbero convincere tutti noi che è assurdo immaginare gradazioni diverse, intensità distinte, priorità disgiunte nella campagna che ci ha impegnato e che Marco ci ha chiesto di proseguire nell’affermare l’universalità dello Stato di diritto, dei Diritti umani, delle libertà fondamentali, e del “diritto alla conoscenza”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:03