Effetto Brexit: fuga per la libertà

L’invidia è un sentimento duro a morire. Ce la prendiamo con gli inglesi che si sono ripresi la loro libertà mentre noi ce la sogniamo. Fantasie nazionaliste? Non proprio. Lo si è visto con il vertice europeo appena concluso. Il nostro Premier si è convinto, in base a cosa non si sa, che, fuori la Gran Bretagna dai giochi, l’Italia potesse agevolmente ottenere la revisione delle norme sul bail-in. Invece la signora Merkel ha detto che non se ne parla. È come se l’algida Angela avesse risposto all’arrembante Matteo: vabbè la Brexit, ma non ti allargare.

Londra o non Londra, questa Europa continua a marciare al teutonico passo dell’oca. Avevano ragione da vendere quei polemisti e politici britannici i quali pronosticavano per l’Unione europea un futuro ancor più germanizzato di quello della metà dello scorso secolo. Da più parti, anche in Italia si levano alte le voci di coloro che osannano questa Unione europea. Essi dicono, tradendo sincero stupore: quanto sono stati stupidi gli inglesi che hanno rinunciato agli agi che procura lo stare insieme. Vero, ma fino a un certo punto. Come insegnano i matrimoni riusciti, vivere insieme condividendo gioie, obiettivi, speranze, successi è una cosa bellissima. E appagante. Come è consolatorio poter contare l’uno sull’altro quando c’è da affrontare i momenti bui che anche nelle coppie più affiatate prima o poi arrivano. Ma se la convivenza sotto uno stesso tetto si rivela una galera che toglie il respiro, allora scompare il piacere e cresce l’insofferenza e la voglia di fuga. Questa è la fotografia dell’odierna Unione europea.

Se fosse un libro, la Brexit sarebbe “Papillon” di Henri Charrière e non “Paradise Lost” di John Milton. Certo, a Bruxelles ieri l’altro le leadership convocate al capezzale del malato Europa avrebbero potuto dare un forte segnale di vitalità per sbugiardare i separatisti britannici. Ma non l’hanno fatto. Non potevano farlo perché il sistema è bloccato e non permette scatti in avanti. È la logica dei mercati finanziari a farla da padrone mentre la politica persevera nella sua incapacità di riconquistare l’egemonia. Un esempio? Non v’è dubbio che la sterlina, dopo il referendum, si sia indebolita rispetto all’euro. Ciò determina effetti negativi sulla bilancia commerciale. In particolare, l’export italiano è destinato a pagare il conto più salato. Non bisogna essere degli economisti esperti per comprendere che le aziende italiane esporteranno meno in Gran Bretagna perché per gli inglesi comprare “made in Italy” costerà di più.

Ora, per l’elementare principio dei vasi comunicanti se un mercato si contrae la cosa più normale da fare sarebbe quella di cercare altre vie di sbocco per compensare le perdite subite. Proprio in questi giorni i Paesi Ue avrebbero dovuto riesaminare il dossier sulle demenziali sanzioni alla Russia. Quale migliore occasione per Renzi & Friends di sollevare la questione con i partner europei visto che lo chiedono a gran voce i nostri produttori che di quel mercato non possono fare a meno? Invece, niente. Silenzio di tomba. Il rinnovo automatico di quella misura suicida è stato lasciato nelle mani di un gruppo di funzionari che hanno trattato la delicatissima vicenda, che ha evidenti ricadute geopolitiche globali, alla stregua di una qualsiasi altra pratica burocratica. Se questa è l’Europa allora non ci si scandalizzi che la gente comune stia preparando segretamente lenzuola da annodare e lime per preparare la fuga dalla galera. Chiamateli pure euroscettici, nazionalisti, disfattisti o come più vi aggrada, ma prima o dopo li vedrete calarsi in fila indiana dai muri di cinta del supercarcere Ue. E fuggire in ordine sparso, come i fuoriclasse del campo di prigionia di “Fuga per la Vittoria”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04