Basta proibizionismo  sulla canapa in Italia

Indica o sativa, per uso ricreativo o terapeutico, da tessuto o per le corde. Da qualunque lato la si voglia vedere, l’Italia non può più permettersi questo assurdo proibizionismo sulla pianta di canapa. Che estende i propri effetti collaterali anche alle piantagioni che una volta servivano a chi voleva semplicemente usarla per farne abiti o funi e che adesso, da anni, deve ripiegare su altri tessuti.

Ma la cosa ormai, in un Paese che si muore di fame, che vede centinaia di migliaia di giovani  ingrossare ogni giorno le fila dei disoccupati cronici, mentre potrebbero essere utilizzati in questo tipo di agricoltura o nel commercio legalizzato della cannabis, sta diventando paradossale: possiamo regalare alla mafia un mercato che è pari solo in Italia al 10 per cento della popolazione attiva rinunciando a quasi 8 miliardi annui di tasse (nello stato del Colorado il governatore, dopo la legalizzazione iniziata nel 2013, ha deciso di ricominciare a distribuire il surplus di imposte ai cittadini) e contemporaneamente tenere occupati costosissimi apparati repressivi e giudiziari tutti incentrati proprio sulla marijuana e sull’hashish molto più che su tutte le altre classiche droghe pesanti come eroina, cocaina o ecstasy? I tribunali italiani, se fossero deflazionati dai processi penali che riguardano la cannabis, avrebbero la metà del carico di lavoro svanito come per incanto.

La follia ormai raggiunta è quella che un tempo fu delle scommesse clandestine e del gioco d’azzardo: tutti le facevano con gli allibratori della mafia, andando a giocarsi le “martingale” nelle bische e arricchendo e ingrassando i criminali e i killer. Affidando i denari delle scommesse ai “bravi” della criminalità organizzata. Poi un bel giorno arrivò il buon senso. Ed è quello che spera che arrivi oggi  anche il sottosegretario agli Affari Esteri, Benedetto Della Vedova, in tante interviste rilasciate in questi giorni specie a Radio Radicale. Di Della Vedova si sa che l’ultima destinazione politica conosciuta è stata la “Scelta Civica” di Mario Monti. Lui però di sicura fede radicale. E sempre lui (insieme a Luigi Manconi per il Pd) un annetto e mezzo fa ebbe il coraggio di promuovere l’intergruppo parlamentare per la legalizzazione della cannabis, che annovera ormai oltre 220 tra deputati e senatori.

Adesso, a partire dal 25 luglio, Della Vedova spera che il Parlamento sia veramente sovrano, se del caso aspettandosi un aiutino dai Cinque Stelle. Che però in quanto ad ambiguità nella prassi politica non sono secondi a nessuno, come da ultimo si è visto sulle possibili riforme dell’Italicum paventate dalla sinistra del Pd. Sia come sia, il 25 luglio la proposta sulla legalizzazione, e non liberalizzazione come scrivono quelli in perfetta malafede e disonestà intellettuale (casomai la liberalizzazione assomiglia al regime di monopolio della criminalità creato da questo ottuso proibizionismo), approderà in Parlamento e lì se ne vedranno delle belle. Ma già da ora converrebbe ragionare sull’indotto della pianta della canapa e della sua ripresa di coltivazione: sia per uso ricreativo, come si dice di chi la fuma, sia per uso terapeutico; sia infine, ma non da ultimo, per il pregiato tessuto che, solo fino agli anni Settanta del secolo passato, molti preferivano persino al lino. Almeno d’estate.

L’“indotto canapa” in Italia potrebbe valere anche il doppio dei sette o otto miliardi di euro previsti come “income revenue” dalla tassazione di chi la usa per farsi le canne, cioè oltre sei milioni di italiani, quasi tutte le settimane. L’aspetto più paradossale, fino a pochi mesi orsono, era il proibizionismo sui malati e sull’uso terapeutico, anche fai-da- te, della cannabis: o finivano in galera come pusher per essersi coltivati le piantine sul terrazzo o dovevano rivolgersi agli spacciatori per alleviare i dolori del cancro o gli impedimenti di malattie come la Sla o erano costretti a comprarsi costosissimi prodotti in Inghilterra, pagandosi cure da 7 o 8mila euro al mese con il rischio di non vedersele rimborsare dal Servizio sanitario nazionale. Che invece se uno chiede la morfina per il semplice lenimento dei dolori fa molte meno storie. Chiedere per credere i dati all’“Associazione Luca Coscioni” o a Rita Bernardini, che negli ultimi anni ne hanno visti non pochi di poveri cristi malati finire in carcere per poche piantine coltivate in casa.

Un mondo alla rovescia all’insegna di presunti valori etici che spesso sono stati la foglia di fico per coprire pesanti complicità della politica italiana con la criminalità organizzata. L’Italia del secondo millennio, è il parere di tanti esperti, dal professor Umberto Veronesi in giù, non può più permettersi di mettere al bando la pianta di canapa. Costa troppo e non serve a nulla: la mafia, le mafie, incassano più da hashish e marijuana che dalle droghe pesanti. Almeno dai dati della Procura nazionale Antimafia che nel rapporto 2014 desumeva, dal semplice calcolo aritmetico dei carichi di droghe leggere sequestrate, che quasi ogni italiano, vecchi e bambini compresi, per statistica consumasse 250 grammi di marijuana o hashish l’anno. Statistiche come il pollo di Totò, chiaramente, ma pur sempre indicative di una diffusione capillare come quella che riguarda il consumo di tabacco o di alcool. Ergo? La marijuana e i suoi derivati in un’ottica squisitamente liberale e radicale, andrebbero legalizzate anch’esse, visto che in fondo il cittadino può decidere cosa fare della propria vita e salute. In realtà anche le droghe pesanti andrebbero prima o poi legalizzate per sottrarre il mercato del vizio alla mafia, ma in questo ultimo caso si parla di cifre che coinvolgono numeri tarati sulle centinaia di migliaia di consumatori, in Italia, e non  sui milioni.

In un momento di crisi nera, dove non si creano più posti di lavoro, dove lo Stato raschia continuamente il fondo del barile per ottenere soldi e dove la tassazione ha ormai livelli insostenibili, la cannabis e i suoi derivati rappresenterebbero il classico uovo di Colombo. Permettersi di non vedere quello che è sotto gli occhi di tutti rischia di diventare una scelta che pagheranno anche le future generazioni. E dopo quasi un secolo di proibizionismo, le prime campagne mediatiche contro la marijuana risalgono al 1937 e al sindaco Fiorello La Guardia quattro anni dopo la fine del proibizionismo sull’alcool (guarda caso), sarebbe ora di farla finita. O di “piantarla”, come dicono gli slogan a doppio senso di tante campagne radicali. Per la cronaca, La Guardia, cui fu intitolato persino l’aeroporto di New York, è stato spesso associato come colluso con la mafia italoamericana del whiskey, così come fu per il nonno di Kennedy e per tanti altri politici dell’epoca. Le campagne mediatiche della fine degli anni Trenta servirono per spingere il mercato illegale e vertevano tutte su assiomi razzisti: i cartelli propagandistici a New York dicevano che la cannabis era la droga dei neri che poi violentavano le donne bianche. L’America dopo quasi cento anni adesso ha “cambiato verso”.

L’Italia, che al contrario era stata molto più tollerante con le droghe all’epoca del fascismo (le pene erano ridicole anche per il grande contrabbando), che aspetta oggi a riappropriarsi del diritto di regolamentare il consumo, magari consapevole, di questa sostanza?

@buffadimitri

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02