Boschi e Madia: risposte inopportune

Le due ministre, Elena Boschi e Marianna Madia, sono molto amate nel Partito Democratico, ma la loro banale risposta ad una performance infelice di Matteo Salvini, peraltro in occasione del suo quotidiano tour elettorale per accrescere il consenso nei confronti della Lega Nord, è stata inopportuna e improduttiva per sollevare la quota di approvazione dei confronti del Governo e dello stesso partito di maggioranza.

Coloro che a vario titolo sono impegnati in politica dovrebbero sempre stimare che gli elettori-cittadini giudicano in funzione di ciò che percepiscono e non in ragione della logica e di valutazioni razionali. Un esempio manifesto è il deputato del Pd, ex Scelta Civica, Andrea Romano, uomo colto, che in ogni apparizione video fa perdere al suo attuale partito di riferimento qualche punto in percentuale di consensi. Fortunatamente le trasmissioni alle quali viene invitato non hanno uno share particolarmente elevato. Non si è chiesto il dotto deputato perché viene sempre invitato alla trasmissione di Rete 4 “Quinta colonna”. Lui si affanna a spiegare, elenca dati, cifre di bilancio, statistiche, bacchetta come alunni somari i suoi interlocutori, democraticamente li silenzia parlando solo lui, ma il risultato è pessimo non solo per la sua immagine pubblica, ma anche per il nuovo partito di appartenenza.

Non spettava certo alla due ministre rispondere al dinamico Salvini, sarebbe bastata qualche parlamentare di non eccelsa visibilità o forse non rispondere affatto per la semplice ragione che è il modo meno utile per difendere il genere femminile e reiterare tutto quell’inutile fraseggio contro la cultura maschilista che ha prodotto poco o nulla, vedi “sessismo”. Mentre negli anni Settanta le pattuglie femministe erano eroiche e qualsiasi manifestazione, qualsiasi parola gridata aveva effetti sulla pubblica opinione, abituata al dominio del pater familias, oggi nell’Era del web le strategie in difesa delle donne hanno percorsi molto diversi e più articolati.

Inoltre, accettare il dibattito pubblico in questi termini favorisce gli stessi oppositori all’interno del Pd che non potendo contestare nel merito le riforme che vengono realizzate dalla maggioranza del Pd, ci tediano con altrettante frasette senza senso: “Cambio di passo”. Il magnifico rettore del mondo dei balocchi, il deputato Roberto Speranza, un giorno ci spiegherà la sua danzante filosofia, che forse si rifà ad antichi riti apotropaici. Le due ministre guidano dicasteri fondamentali per la rivoluzione riformista del presidente Matteo Renzi, verso il quale l’ostracismo di tutti quei mentecatti che discettano sul nulla, incuranti della drammaticità della situazione economica e sociale del Paese, continua ad aggregare proseliti, che sezionano la riforma costituzionale come fosse l’esame autoptico di un cadavere, tanto per impedire che il Paese possa uscire dall’abisso. Ovviamente sulle riforme si può discutere, ma le riforme non sono né di destra né di sinistra, né tanto meno di centro. Le riforme sono riforme. E le due ministre hanno questo immenso compito, in particolare la dottoressa Madia che dovrebbe riformare la Pubblica amministrazione, che solo per capire di cosa stiamo parlando non bastano 4 anni di un corso universitario, tutto dedicato alla cosiddetta burocrazia, la metastasi dell’Italia.

Sono quattro anni che segnalo a tutte le istituzioni del Paese che abbiamo anche noi un caso Regeni ante litteram. Da quattro anni un bambino e la sua mite mamma sono torturati, violentati, maltrattati, vilmente oppressi e costantemente perseguitati non solo dal solito potenziale femminicida, ma da un gruppo di lestofanti che si spacciano per psicologi forensi, tutori, curatori speciali, educatori, assistenti sociali con la connivenza di alcuni magistrati. Anche alla ministra Boschi ho inviato documentati dossier, ha segnalato la situazione di pericolo per l’incolumità delle vittime, facendo nomi e cognomi, funzioni e ruoli. Non c’è stata alcuna risposta. Il maestoso silenzio delle cosiddette istituzioni. La difesa degli indifesi non è esclusiva di alcune formazioni politiche; è dovere di tutti coloro che sono onesti, altruisti e solidali e possono militare in qualsivoglia formazione politica o civile.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:59