La specialità renziana: l’evirazione del Senato

La specialità del renzismo è quella di dire una cosa e poi fare una cosa esattamente diversa che, col combinato disposto del giudizio poco lusinghiero sui cittadini italiani (considerati alla stregua di puri imbecilli), è alla base della politica dell’attuale Governo nel nostro Paese. Non tutti, forse, ricorderanno la campagna per la spending review e, di conseguenza, quella contro gli alti stipendi dei manager avviata da Natteo Renzi, che provocò la piccata risposta di Mario Moretti che quella campagna criminalizzante non condivideva e non accettava.

Ma tutti, certamente, ricorderanno una delle motivazioni accampata per giustificare la cancellazione del Senato, oggetto, in autunno, del referendum costituzionale. La ricorderanno di certo se non altro per averla sentita proclamare, come un mantra, ai quattro venti da Renzi e dai suoi divulgatori “scientifici” che sostenevano che la trasformazione del Senato (in una Camera di serie B) era necessaria anche per risparmiare bei soldini di cui l’Italia aveva estremo bisogno. Il tutto perché si sosteneva che con il fatto che i nuovi senatori (provenienti dai Consigli regionali e con sindaci delle grandi città) già venivano pagati dalle proprie amministrazioni di appartenenza, gli stessi non avrebbero potuto rappresentare un peso finanziario se si esclude il viaggio e il rimborso spese per le trasferte da effettuare nella Capitale. Già solo questa motivazione puzzava (e continua a puzzare di imbroglio); vuoi perché il risparmio che si realizza è così miserabile che si poteva ampiamente reperirlo con una vera e propria spending review che è stata, invece, bloccata da Renzi provocando le dimissioni di due illustri economisti come Carlo Cottarelli e Roberto Perotti; ma vuoi, anche, perché è offensivo gridare agli sperperi, mortificando il merito che dovrebbe stare alla base dei compensi, e poi elargire a piene mani, superando lo sbarramento dei 240mila euro annui (altra perla renziana), agli amici collocati alla Rai, senza una valutazione piena delle capacità (che è una variabile determinata dal mercato e non una cervellotica decisione di chi ha le leve del comando).

Anche in questo caso bisognerebbe ricordare le plateali affermazioni fatte dal Premier sulla Rai dalla quale dovevano essere cacciati i partiti (“Via i partiti dalla Rai”) per riempirla, però, di sodali del proprio cerchio magico e di sostenitori della prima ora, essendo pochini (!) i giornalisti e i dirigenti nell’organico precedente in Mamma Rai, e riservando ad essi lautissimi compensi che, come si è scoperto recentemente, vanno dai circa 650mila euro annui del direttore generale Campo Dall’Orto ai 320mila di Carlo Verdelli, fino ai 300mila elargiti a Ilaria Dallatana o alla Bignardi.

È chiaro che detti compensi, costruiti magari usando un metro che nulla ha a che vedere con le reali capacità dei singoli, stride con la falsa motivazione per l’evirazione del Senato e con il falso tetto dei 240mila euro che viene superato con facili eccezioni. La verità è che a Renzi non interessa affatto il risparmio, ma lo utilizza per sollecitare la pancia degli italiani. Lui pensa solo all’“uomo solo al comando” e sogna di diventare come Erdogan, ma gli italiani non saranno così stupidi da farglielo fare e voteranno “No” alle riforme (sic!), che sono l’anticamera della dittatura.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 21:53