La questione di fiducia: una questione aperta

Presentando il volume collettaneo “No allo sfregio della Costituzione”, Licosia Edizioni (Biblioteca della Camera, 25 luglio), ho sollevato il problema della “questione di fiducia”, che, ignorato dalla riforma costituzionale, sembra anche poco o punto interessare tanto i Sì quanto i No al referendum. A me invece appare una grave svista o lacuna del testo Renzi-Boschi, che pure perciò merita appieno il dispregiativo “Renzoschi”.

Com’è noto la questione di fiducia, disciplinata soltanto dai regolamenti parlamentari, è la dichiarazione con la quale il Governo dà l’aut aut ad una Camera: o approva l’oggetto della votazione o il Governo rassegna le dimissioni. La questione di fiducia ha due scopi principali: compattare la maggioranza e piegare l’opposizione di una Camera sullo specifico oggetto. La riforma costituzionale vanta di aver tolto al nuovo Senato il potere di concedere e negare la fiducia. Sicché bisogna dedurne che nel nuovo Senato il Governo non potrà più porre neppure la questione di fiducia. Qui si apre la questione, perché il nuovo Senato, sebbene ridotto a simulacro del vecchio e ridimensionato in modo confuso, conserva tuttavia la funzione legislativa paritaria con la Camera su materie fondamentali, quali la revisione costituzionale, l’Unione europea, la sua stessa legge elettorale. Che accadrà quando, in una legge su tali materie, il Senato andrà in opposto avviso della Camera, dove invece lo strapotere del Governo e la possibilità di imporre la fiducia non consentiranno dissensi essenziali? Al momento io non so rispondere definitivamente, mentre quelli che dovrebbero rispondere neppure si pongono la domanda.

La lacuna o la svista sono così macroscopiche che, allo stato, un conflitto del genere tra Camera e Senato risulta insuperabile, perché non si intravede l’autorità competente a risolverlo: non la Corte costituzionale, perché non è un conflitto di attribuzione, non i due presidenti delle Camere perché non è una questione di competenza, ai sensi del nuovo articolo 70 della Costituzione. Facciamo l’ipotesi della legge elettorale per il Senato, che dovrà essere approvata dalle due Camere appena fosse entrata in vigore la nuova Costituzione. Credete davvero che il Senato del “Renzoschi”, per quanto ridotto a “senaticchio”, rinuncerà a dire la sua, anche a brutto muso, su come desidera essere eletto? E facciamo una seconda ipotesi, stravagante solo all’apparenza, ma già nella mente dei neocostituenti, questa: dopo una legislatura del nuovo corso, il Governo, per tentare di scongiurare il definitivo fallimento della riforma, proporrà l’abolizione tout court del senaticchio, una soppressione che richiede la legge costituzionale, dunque il voto conforme del Senato.

Credete voi che il senaticchio si lascerà cancellare pacificamente come il vecchio Senato? Che accadrà giuridicamente e politicamente se il Senato non vorrà? Aspetto chiarimenti dal signor Renzi e dalla signorina Boschi, che stanno sempre a chiedere di entrare nel merito. Che ci entrino loro, finalmente.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02