La Raggi nel mirino dei boss sindacali

“Si dovrebbe rimboccare le maniche, dare l’esempio - mugugnano nei bar di Trastevere - se i romani vedessero la Raggi in televisione, che con tanto di tuta da spazzino aiutasse gli operatori ecologici, la applaudirebbero. Perché Roma è così, ama le trovate popolari, anche se non risolvono il problema”.

Forse questa gente ha centrato il problema. Perché la vittoria dei Cinque Stelle è stata tutta di pancia, un risultato umorale. Per tornare popolare, Virginia Raggi dovrebbe inventarsi una sorta di “battaglia dell’immondizia”, tutta in stile “battaglia del grano”. Nel frattempo l’emergenza rifiuti assume le tinte fosche della trovata utile ad azzoppare la giunta comunale. Perché a ruota vengono gonfiate anche le problematiche del trasporto pubblico, del Servizio giardini, dell’Acea, della polizia di Roma Capitale, dei parcheggi… E sembra che tutti abbiano dimenticato che la povera sindachessa sta lì da meno di tre mesi. Soprattutto che un anno fa c’era Ignazio Marino a reggere Roma, che sotto la sua giunta venne sollevato il problema degli autobus non più a norma Ue: in quel periodo un bambino precipitava nel vano ascensore della stazione della metropolitana a Furio Camillo, e due anziani finivano al pronto soccorso per essere scivolati in autobus. Già un annetto fa c’era chi consigliava di fermare i mezzi pubblici, di metterli a norma, e perché è meglio mandare i romani a piedi che spedirli al camposanto per inadeguatezza dei vettori pubblici (autobus, metro, trenini, filobus).

“L’emergenza rifiuti non c’è mai stata, abbiamo avuto un periodo un po’ critico”, si giustifica il neo sindaco di Roma. “Occorre far scattare un federalismo solidale sul trasferimento dell’immondizia – ha detto il ministro dell’Ambiente, Gian Luca Galletti al Messaggero – tuttavia i Comuni e le Regioni a cui va dato aiuto devono avere a loro volta piani credibili per uscire dall’emergenza, sennò si fa sempre più fatica a difenderli. Perché in Italia esistono Regioni che si sono assunte le loro responsabilità e hanno chiuso il ciclo dei rifiuti anche attraverso scelte impopolari come la costruzione di termovalorizzatori, e non è giusto che paghino per chi queste responsabilità non se le vuole assumere. Alla Raggi però dico: basta con lo scaricabarile”.

Il ministro Galletti è conscio che la Raggi non c’entri nulla con tutte queste emergenze, ma oggi al Partito Democratico preme utilizzare il primo cittadino pentastellato come parafulmine di tutte le emergenze romane, dimenticando che negli anni di bengodi grazie alle tessere di Pci-Pds e Cgil si veniva assunti con una certa facilità dentro le famigerate municipalizzate. Ecco che alla Raggi è bastato parlare di esuberi tra vetturini e operatori ecologici, come delle mafie che reggono i servizi funerari, trasporti pubblici e traslochi, o del malaffare che governa il commercio ambulante e i mercati rionali, per attirarsi d’un botto le ire del cosiddetto sistema “Roma Capitale”. La Raggi ha di fatto puntato il dito contro i contenitori elettorali della sinistra istituzionale, del Pd. Con questo non si vuole certo sostenere che Virginia Raggi sia adeguata al ruolo, e non è certo una questione di sesso. Anche Ignazio Marino ha subìto le mafie interne all’amministrazione romana, e prima di lui anche Alemanno, Veltroni e Rutelli.

Non è certo un mistero che a far cascare le giunte siano stati spesso gli accordi tra i boss sindacali delle municipalizzate che, in accordo con tassinari, ambulanti e dipendenti di aziende che lavorano per la Pubblica amministrazione, hanno paralizzato la Capitale con scioperi e disservizi. Una logica antica che sopravvive a tutti i colori della politica. Quante volte abbiamo sentito negli uffici pubblici frasi come “ar Comune sto a fa’ il sindacalista da ‘na vita, da qui deve passa’ il sindaco tizio o l’assessore caio”. Sono i veri padroni di Roma, entrati non si sa come nella Pubblica amministrazione e poi assurti al cursus honorum sindacale, hanno sistemato figli e nipoti in aziende ed enti: governano tessere sindacali e contenitori di voti, e con loro deve fare i conti la politica.

Ecco che non si potrà mai imputare la caduta della Raggi all’immondizia o ai mezzi pubblici, bensì a quello storico patto d’acciaio tra notabilato burocratico e manovalanza sindacale. Queste due forze governano Roma da sempre, in un certo senso rispecchiano gli accordi che nell’antichità i tribuni della plebe stringevano con la classe equestre. Con questo non si vuole certo sostenere che i sindaci di Lazio e Umbria abbiano ascoltato i suggerimenti del Pd, ovvero alzate le barricate e non aiutate la Raggi su alcun fronte, soprattutto sui rifiuti. Ma non si può certo dimenticare che in Regione Lazio siedono alti burocrati troppo vicini ai democratici come ad aziende private pronte a pulire Roma in cambio di ricchi contratti. Se la Raggi ora portasse i libri in tribunale, chiedendo il fallimento dell’amministrazione comunale, farebbe la cosa giusta. Lascerebbe in mutande intere metastasi familiari, gente che gozzoviglia con lauti stipendi alla faccia dei tanti romani precari e disoccupati.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:02